San Gimignano

Di tutte le Anteprime toscane, quella della Vernaccia di San Gimignano è affatto differente dalle altre. Non tanto, e non solo, perché si tratta ovviamente di un vino bianco. Piuttosto, le etichette della città delle torri hanno un potenziale di evoluzione che è ormai giustamente conclamato, e vengono quindi colte solo in una fase embrionale del loro sviluppo. Molti campioni hanno a malapena terminato la fermentazione malolattica, sono ancora ben lontani dall’imbottigliamento e risultano se non altro scomposti.

Più ancora, se degustando un rosso anche la trama del tannino e la sua integrazione nel corpo del vino forniscono informazioni sulla sua tenuta nel tempo, questo ausilio con un bianco viene meno; caso mai, anche senza la sfera di cristallo, risultano più facilmente interpretabili le Riserve, avvicinate alla compiutezza da una maggiore permanenza in vetro.

Grande era dunque la curiosità di chi Vi scrive in merito alla presentazione dell’annata 2017: da un lato per verificare se il millesimo torrido avesse prodotto campioni più immediatamente leggibili. Dall’altro, e soprattutto, per scoprire come i produttori di San Gimignano (di cui non è in discussione né la sapienza tecnica, né l’avvedutezza nel proporre prodotti sincera espressione del territorio) avessero saputo fronteggiare condizioni di maturazione estreme per temperatura e siccità.

Ebbene, i risultati sono stati interlocutori. La Vernaccia è vitigno delicato, dalla buccia sottile, che può soffrire l’eccesso di esposizione alla luce solare: la gestione della chioma nel 2017 è stata quindi di importanza cruciale. Inoltre, trattasi di vino “più di bocca che di naso”, come recita un vecchio adagio: mantenere la spinta acida che esalta il suo carattere salino imponeva, nel millesimo in questione, una scelta vendemmiale quanto mai accurata.

L’impressione è che le aziende abbiano risolto questi dilemmi affidandosi, nei vari casi e in forza delle rispettive condizioni pedoclimatiche, a scelte opposte. Alcuni produttori hanno atteso a raccogliere, sperando in un calo delle temperature o in una pioggia settembrina: ed ecco così vini dal frutto diretto e godibile e dal carattere opulento, ma altresì in difetto di tensione, e alla lunga potenzialmente stancanti alla beva.

Oppure, una vendemmia volutamente anticipata (per conservare la necessaria acidità) ha condotto ad alcuni assaggi dal profilo quasi scarnificato: ovvero, la sapidità, specialità del territorio, è balzata in evidenza in tutta la sua nudità, in difetto di equilibrio al palato e in particolare di morbidezza. Ovvio che non siano mancati campioni più ”registrati”, la cui compiutezza fa ben presagire. Ma è certo che più di una bottiglia testata deve essere fatta se non altro rivedibile, per verificare se queste estremizzazioni del profilo gustativo siano definitive o meno.

Peraltro, note un poco più liete sono giunte invece dalle Riserve: le 2016 non sono ancora del tutto aperte aromaticamente, e forse in qualche caso risultano più opulente di quanto poteva attendersi, ma vi sono altrettanti esempi dalla freschezza interessante; le residuali 2015 hanno maturità corrispondente all’annata, con conseguente ciclo di vita forse meno futuribile, ma non mancano di godibilità.

Infine una riflessione: se anche un comprensorio dal sicuro valore come San Gimignano è condizionato nei propri risultati da un’annata estrema come la 2017, si può prevedere che un caso simile non tarderà a ripetersi.

Il riscaldamento climatico pone ai produttori di vino sfide che devono essere accettate con ampiezza di vedute: verosimilmente più di un paradigma, in termini di ricerca della concentrazione e della maturità, e di basse rese per ettaro, dovrà essere rimeditato e sovvertito. L’elasticità delle proprie pratiche colturali diverrà fattore forse fondamentale per un prodotto di qualità.

Riccardo Margheri