Vino in vendita sugli scaffali del mercato Usa

I primi 9 mesi dell’anno hanno fatto registrare variazioni quasi nulle per quanto riguarda le vendite del vino italiano sugli scaffali delle gdo dei principali buyer esteri. È questo il risultato principale delle elaborazioni dell’Osservatorio Uiv su base Nielsen-IQ.

La performance complessiva allo scaffale negli Stati Uniti, Germania e Regno Unito vira timidamente in territorio positivo, a +0,4% nei volumi (era a -0,2% nel semestre), per un valore totale di oltre 3,3 miliardi di euro.

Nel complesso, nei tre Paesi scende a volume la domanda tendenziale degli sparkling tricolori (-2%) mentre salgono dell’1,2% i fermi (2,15 miliardi di euro), per un totale di 3,4 milioni di ettolitri pari a 452 milioni di bottiglie da 0,75/litri.

Il rendimento stazionario – rileva l’Osservatorio di Unione italiana vini – si riscontra in tutti i mercati, tra alti e bassi a seconda delle tipologie.

Meglio gli italiani “low cost”

Tra le buone notizie, la crescita volumica degli spumanti negli Usa (+3,7%) e quella del mercato dei vini fermi in Germania e Uk (attorno al +4%), grazie anche a sensibili miglioramenti di Primitivo, Montepulciano e Nero d’Avola. Per contro, nel primo mercato al mondo soffrono i fermi del Belpaese (-6,6%), mentre le variazioni degli spumanti in Uk e Germania sono negative e si attestano rispettivamente a -5,9% e a -1,4%. Il computo finale segna Uk stabile (+0,1%), Germania in terreno positivo (+3,9) e Usa ancora in calo (-3,5%).

E proprio negli Stati Uniti è ancora alta l’influenza nella Gdo del brand statunitense che commercializza prodotti “low alcol” con aromi alla frutta provenienti dall’Italia e in particolare dal Piemonte.

Su un totale di 906 milioni di euro relativo agli acquisti di “table wines” tricolori (vini fermi e frizzanti, esclusi spumanti), l’impresa americana di vino italiano somma vendite per 341 milioni di euro, con un’incidenza sul venduto della tipologia al 38%.

“Il fenomeno – ha detto il segretario generale di Unione italiana vini (Uiv), Paolo Castelletti – deve far riflettere la nostra filiera, perché è la sintesi delle potenzialità multitarget del vino in una fase di forte transizione dei trend di consumo.

Il modello italiano rimane chiaramente quello tradizionale dell’alta qualità e del sistema delle denominazioni, ma ciò non esclude l’apertura verso forme produttive più “laiche”, con “contaminazioni” che assecondino una domanda giovane sempre più disimpegnata e spesso attenta al grado alcolico. Il player statunitense, sfruttando anche il brand Italia, negli ultimi 7 anni ha aumentato il proprio business del 500% e non è certo un caso”.