Se per il vino italiano si può parlare di pericolo scampato, in quanto per sei mesi niente dazi all’import da parte degli Stati Uniti sui prodotti inseriti nella lista dei potenziali obiettivi, emanata lo scorso ottobre, non si può dire altrettanto per gli spirits.
Nell’occhio del ciclone, infatti, rimangono sempre i nostri aperitivi e liquori.
“Dall’entrata in vigore dei dazi, il fatturato nel mercato USA, è diminuito in media del 35% – ha commentato Micaela Pallini, Presidente del Gruppo Spiriti di Federvini – Stiamo assistendo ad un progressivo calo della marginalità delle vendite poiché le Aziende si sono dovute far carico di riassorbire parte dei dazi senza incidere sul mercato, a discapito soprattutto delle imprese medio-piccole che costituiscono buona parte del tessuto produttivo: il settore nel complesso annovera circa 4.500 addetti coinvolti nelle strutture produttive e 228 mila occupati in maniera diretta ed indiretta.
Inoltre, l’incertezza di vedere ogni 6 mesi uno scenario diverso, complica ulteriormente la possibilità di avviare investimenti o strategie. Senza dimenticare che ancor di più imperversa il fenomeno dell’Italian Sounding: prodotti similari e chiaramente evocativi delle nostre eccellenze stanno avanzando sul mercato americano anche grazie a questa situazione”.
Diverso l’umore di Piero Mastroberardino, Presidente del Gruppo Vini di Federvini che ha dichiarato: “Il mercato americano rappresenta il primo sbocco per il nostro vino. Secondo gli ultimi dati, l’export complessivo in valore, nel 2019, ha raggiunto 1 miliardo 750 milioni di euro ed una crescita su base annua del 4,2%.
Ma questo trend potenzialmente rischia di rallentare. La spada di Damocle dei dazi rimane, comunque sui nostri prodotti: tra 6 mesi, con il nuovo round del carosello, le nostre aziende, saranno di nuovo in ansia, perché non hanno modo di prevedere con esattezza come programmare investimenti e pianificare l’attività”.
Con evidenti conseguenze su fatturato e occupazione.