19Crimes, 12 milioni di bottiglie di vino australiano vendute nel 2017 cominciando dal nulla. Come hanno fatto?

Siamo in piena estate. Il clima sotto l’ombrellone n. 3 (dello Scoglietto, ma che ve lo dico a fare?) è caldo e ventilato. Il sole cuoce, ma non te ne accorgi perché la brezza marina ti rinfresca in continuazione. La concentrazione di iodio è altissima, la polpa dei ricci è energetica, i nervi sono a fior di pelle, tesi e attenti e  tenuti a bada solo dai vini di Claudio.

Così il pensiero corre ed esplora tutti quei  terreni di guerra, quei campi minati di cui è disseminato il mondo del vino. Si affrontano temi di cui di solito si parla in termini politicamente corretti, cercando di dar ragione ai benpensanti, ma ora la voglia è quella di parlare fuori dai denti e di dire le cose come stanno nella pratica e non nel mondo delle belle intenzioni e dei sani principi.

Ad esempio il Pinot Grigio… Un nome rassicurante di un vitigno che è assurto alla gloria del mercato vinicolo mondiale, un fenomeno di successo che solo negli Stati Uniti vende milioni e milioni di casse, un must per aperitivi, meeting, matrimoni, cerimonie, congressi, prima di coricarsi. Un nome onnipresente sul mercato anglosassone e non solo.

Poi all’improvviso ti trovi su WS una pagina pubblicitaria di Ethicawine che ti insegna a pronunciarlo. Il Pinot Grigio. No il Pee-noh Gree-joe! Ma come? Il vino italiano più famoso negli States e forse nel mondo ha bisogno di questo? E allora che campagna educativa dovremo fare per i nostri Terre del Colleoni (non oso Immaginare..), o per il Montepulciano d’Abruzzo Terre dei Peligni?

Già gli americani sono abituati a ragionare per varietà di vitigno, ma se incontrano difficoltà anche con il pinot grigio, figuriamoci con il Valdadige Terra dei Forti Enantio Riserva Preabocco? Con tutta la simpatia per l’Enantio, occorrono dieci pagine di pubblicità.

Noi europei, o meglio noi italiani, pretendiamo di invadere il mondo con centinaia di DOC dai nomi oscuri e impronunciabili o francamente improbabili come DOC Romagna Sangiovese Castrocaro e Terra del sole, aggiungiamoci magari anche il nome di fantasia del vino come Rubrarosa Oriolo Sisto, sicuri a quel punto di aver avuto un’ottima idea e che il successo sia automaticamente  garantito.

Noi europei pretendiamo che il vino racconti il terroir.  Ma in che lingua? Parliamo di aggredire il mercato cinese: non c’è via  più semplice! L’ottimo Serracavallo Rosso Terre di Cosenza DOP Colline del Crati Riserva Vigna Savuco, in pin-in è, se non altro, molto musicale. I francesi sono riusciti a imporsi con i terroir, ma hanno impiegato quasi un migliaio di anni durante i quali noi dormivamo il sonno dei giusti.

Vero anche che gli stessi tedeschi hanno i loro problemi per chi deve ordinare un Winzerverein Deidesheim Riesling Spätlese Deidesheimer Herrgottsacker 2017 (con il dubbio: sarà trocken o no?).

Insomma quale sarà la via più giusta per far conoscere (e di conseguenza vendere) il proprio vino?

Donatella Cinelli Colombini mi osservava con sguardo dubbioso mentre spiegavo a un Master del Sant’Anna le nuove frontiere dello storytelling. La teorie della sofferenza, delle difficoltà da superare, la storia dell’eroe risorto, tutte cose di difficile applicazione al vino, cose che facevano scuotere la testa a Donatella. Il terroir: è lui che parla! Dobbiamo parlare dei nostri vitigni e dei nostri vignaioli, delle loro storie di vita.

Bene non è passato nemmeno un mese che abbiamo sbattuto la faccia nella storia di 19Crimes, 12 milioni di bottiglie di vino australiano vendute nel 2017 cominciando dal nulla. Come hanno fatto? Parlando di territorio, del clima, della storia del rude vignaiolo che alle luci dell’alba va a legare le viti, delle tecniche di fermentazione, dei lieviti indigeni? Niente di tutto questo. Il “grazie” va alla realtà aumentata e alle storie di sofferenza.

19Crimes (www.19crimes.comfa riferimento a 19 prigionieri britannici che furono spediti in Australia nel XVIII secolo. Ognuno di essi aveva commesso uno dei 19 crimini capitali del tempo, matrimoni clandestini, bigamia, rapimenti, ribellioni. Se avessero sopravvissuto al viaggio, questi personaggi avrebbero potuto rifarsi una vita nella lontana colonia britannica.

Così ogni etichetta riporta un’immagine del criminale in questione e tramite la realtà aumentata, scaricando un’app gratuita per iOS o Android, si punta la telecamera sulla faccia del personaggio e il telefonino comincia a farlo parlare e a raccontare tutta la sua storia. Durante la quale storia ci si può scolare la bottiglia, magari senza neppure guardare di che vino si tratta. I blend infatti hanno composizioni misteriose.

Treasury Wine Estates, con lo studio Tactic e l’agenzia J. Walter Thompson di San Francisco hanno realizzato tutto questo e la mia convinzione è che nessuno di questi signori abbia la benché minima idea di cosa sia un flysch, una marna pliocenica, una pirazina, la tostatura di una botte di rovere. Invece conoscono bene i metodi pubblicitari: la diciannovesima etichetta è legata alla storia di John O’Reilly ed è rara da trovare. Chi la trova la può fotografare e pubblicarla sui social vincendo un premio.

Con i migliori saluti al Foglia Tonda e senza preoccuparsi del Pee-noh Gree-Joe.

Paolo Valdastri