French Bloom Blanc e Rosé

Il fenomeno de La Cuvée di French Bloom. Il ministro Lollobrigida non vuole che si chiami “vino” e intanto gli altri fanno affari milionari.

No alcol no party? Concetto superato! Grazie a un duo tutto femminile i francesi ci superano anche in questo. The French Bloom è l’impresa creata da Maggie Frerejean-Taittinger e da Constance Jablonsky, la prima famosa firma e direttore della Michelin, la seconda top model.

Maggie Frerejean-Taittinger & Constance Jablonski

È di pochi giorni fa la notizia dell’uscita sul mercato dello “spumante” La Cuvée della French Bloom completamente privo di alcol, ma venduto da Harrods a Londra per 109£. E l’aspetto più interessante della cosa è che il prodotto è rivolto non al pubblico da grande distribuzione, ma specificatamente agli astemi con alta possibilità di spesa e agli amanti dello Champagne, quando decidono o sono costretti a prendersi una pausa dall’alcol, ma cenano in ristoranti di alta gamma.

Mi sono posto anch’io il problema. Il nuovo codice della strada è entrato in vigore con misure rigorose contro chi viene trovato positivo all’alcol test. E c’è sempre la possibilità che le lobby dell’analcolico vincano la loro guerra contro l’alcol e diventi impossibile uscire la sera a cena stappando una bella bottiglia. Cosa fare? Rinunciare al vino? Rinunciare al ristorante? Oppure accettare la soluzione proposta dai francesi della French Bloom?

Com’è questa bevanda che in Italia (e solo in Italia) non possiamo chiamare vino? Cominciamo a dire che l’enologo è il marito di Maggie,  Rodolphe Frèrejean-Taittinger e già il nome dovrebbe suggerire molte risposte. Rodolphe spiega che per produrre un grande vino dealcolato occorre partire da una base praticamente “imbevibile”.

Non si può pensare che dealcolando un grande vino si ottenga un grande prodotto. “Se dealcolo un Petrus otterrò sicuramente un prodotto pessimo” dice Rodolphe in un’intervista a The Drinks Business. Il vino dealcolato va progettato a priori creando un vino base adatto a subire i processi necessari ad ottenere un prodotto finale di grande impatto.

Il processo di dealcolazione

Per il suo “La Cuvée” Rodolphe impiega Chardonnay coltivato in Provenza, in grado di accumulare grandi quantità di profumi nel vino base, anche se le uve saranno colte in anticipo per preservare l’acidità. Questa base è inoltre la più naturale possibile, in regime biologico, ma anche con basso impiego di solfiti.

French Bloom. Barrique

L’importante è che questa base sia “esagerata” in ogni sua componente. Il processo di dealcolazione prevede una distillazione sotto vuoto a -32°C con una evaporazione in assenza di bollitura. In effetti si perde il 60% della componente aromatica e il 20% del volume del prodotto base, ed è per questo che il vino di partenza deve essere “esagerato” nelle sue caratteristiche aromatiche. Anche i profumi di rovere sono esaltati al massimo con il passaggio in barrique nuove per sei mesi. La base è poi acidificata con acido tartarico. In definitiva deve risultare “legnosa” e acida all’eccesso, in pratica imbevibile.

La dealcolazione avviene i tre passaggi: dal 12% al 2% poi dal 2% allo 0,5% e infine dallo 0,5% allo 0,0%. E come atto finale occorre creare le bollicine in assenza di rifermentazione, il che viene realizzato con un processo di carbonazione, derivato dalle acque minerali e particolarmente studiato per produrre bollicine fini e soprattutto persistenti.

La Cuvée viene messa in commercio con una parvenza di annata di vendemmia, la vintage 2022, e deve garantire una vita di almeno due anni sullo scaffale: questo richiede un processo di stabilizzazione che si realizza con la flash-detente, termovinificazione che porta il liquido velocemente ad alta temperatura per poi raffreddarlo altrettanto velocemente a bassissima temperatura sotto vuoto.

French Bloom. La Cuvée

Il prodotto finale oltre ad essere privo di alcol, non prevede liquore di dosaggio né solfiti, mentre viene ricercato un profilo aromatico “ossidativo”, per rendere il vino simile agli Champagne dosati con il gusto inglese, che predilige vini invecchiati con leggera mederizzazione con sentori di caffè, brioche e albicocca. Mentre quasi tutti i vini spumanti no-alcol hanno residui zuccherini alti, la Cuvée è assolutamente secca.

La Cuvée di French Bloom è il primo vino dealcolato venduto al dettaglio a più di 100€. Ne sono state prodotte 17.000 bottiglie, un numero ridottissimo se lo confrontate con le 400.000 bottiglie del French Bloom spumante no alcol bianco e rosé. Si parla di una sola azienda e non tra le più grosse: questi numeri rendono immediatamente l’idea di quale sia la consistenza del fenomeno. Si scopre così che gli italiani sono costretti a emigrare: in Italia oltre a non poterlo chiamare vino, il processo di dealcolazione è consentito solo nelle distillerie, cosicché diventa più conveniente e burocraticamente più facile andare a produrre all’estero, magari in Germania.

In conclusione

Io non sono vegano, ma in alcuni periodi ho provato ad esserlo per riequilibrare certi parametri salutistici ed ha funzionato. Così di tanto in tanto posso avere bisogno di una pausa dall’alcol, magari anche solo per motivi di guida. Poi il mondo è pieno di future madri, come lo era Maggie Frerejean-Taittinger quando decise di fondare la French Bloom. E ancora c’è la GenZ che richiede bevande sempre meno alcoliche e adatte ad aperitivi leggeri e dietetici. Pensiamo anche all’universo musulmano. Il numero di potenziali consumatori di vino no alcol è mostruosamente elevato. E badate bene dico VINO no alcol, perché proporre qualsiasi altro nome non ha senso.

Di Coca e RedBull c’è già pieno il mondo e sarebbe assurdo pensare di aggredire questo mercato con una “bevanda a base di uva”, sempre che anche l’uva resti un ingrediente necessario. Le multinazionali dell’analcolico impiegherebbero pochi secondi ad aggredire il mercato con una “bevanda” che avesse qualche parvenza di successo.

La cosa sarebbe per loro molto meno interessante se dovessero partire dalla definizione “vino”, ovvero di qualcosa che è prodotto rigorosamente dall’uva e se dovessero cimentarsi con prodotti del livello de La Cuvée.

Dobbiamo smettere, e non solo noi italiani, di finanziare espianti di migliaia di ettari di vigneti solo perché certi vini non incontrano più i favori del mercato, dando magari la colpa ai cambiamenti climatici. Dobbiamo finirla con assurdi dogmatismi che hanno il solo risultato di far fare gli affari agli altri.

Dedichiamo questi incentivi al mantenimento dei vigneti e allo studio e sviluppo di tecnologia per produrre questi nuovi tipi di vino. Con le conoscenze tecniche che abbiamo potremo continuare a primeggiare, o almeno a rivaleggiare alla pari con i cugini francesi, nella tecnologia e nell’industria delle macchine enologiche. Poi magari fra vent’anni ci sarà una nuova controtendenza e un ritorno all’alcolico, e allora saremo pronti a ricominciare da dove avevamo lasciato.

Chiudo rivolgendo un doveroso pensiero a tutti i produttori di vini naturali, vini veri, vini ribelli, compreso naturalmente il Checco Grossi di Report e il suo amico Sigfrido.

Paolo Valdastri

Nell’articolo del 28 febbraio https://bit.ly/3wABCOA potete trovare alcuni dati sulla produzione dei vini NoLo e le prime considerazioni sul tema del vino del futuro.