La sessione di assaggi delle Anteprime toscane in quel di Montepulciano ha fornito più di una conferma: sulla bontà dell’annata 2015; sull’apprezzabile capacità dei produttori di interpretare potenzialità e problematiche di un millesimo comunque caratterizzato da temperature elevate; su una cerca dicotomia di stili che ostacola l’interpretazione univoca del territorio.
Queste le impressioni
L’estate del 2015 ha consentito una maturità del Sangiovese non disgiunta da un’apprezzabile acidità (tanto di cappello alla gestione delle rese e alla scelta del momento della vendemmia); ciò ha con permesso sentito di produrre sia vini tendenti all’immediata godibilità del frutto, sia bottiglie più ambiziose, in grado di dispiegare tutto il loro potenziale aromatico dopo adeguata evoluzione.
In realtà, la conseguente ricerca di maggiore struttura non si dispiega solo nelle Riserve e nelle selezioni, ma anche nei Vino Nobile annata: di modo che il potenziale compratore, qualora non disponga di informazioni precise, non conosce a priori se sta acquistando una bottiglia da stappare con piacere subito, o da conservare gelosamente in cantina. Rimangono inoltre alcuni campioni censurabili a livello di semplice grammatica enologica, difetti peraltro correggibili con una certa facilità.
E’ inoltre vero che in certe etichette la base del vitigno toscano per eccellenza pare poco più che un accessorio; colori profondi, palati dalla morbidezza esasperata, configurazioni aromatiche più inerenti alla speziatura dolce e alla stramaturazione del frutto nero, piuttosto che non alle nuances, fragranti e non, del Sangiovese.
In una parola, se non è in discussione la qualità media e la generale convenienza dei prezzi, a chi Vi scrive pare intravedere una crisi di identità latente, un legame vino/territorio migliorabile, tanto più sorprendente in un contesto in cui il Consorzio di tutela si è mosso bene, restaurando la Fortezza cittadina e valorizzandola con l’istituzione di un’enoteca pubblica, promuovendo un protocollo per la sostenibilità, per la ridotta impronta della CO2 in viticoltura, ecc.
Evidentemente il problema “identitario” è percepito a più livelli, in quanto negli ultimi mesi sono sorte ben due associazioni di produttori che si propongono di agire per la valorizzazione della denominazione, peraltro con soggetti che operano sia come grande azienda, sia come più piccola realtà familiare.
Un gruppo si propone di incentivare le produzioni di superiore qualità (anche se questo concetto di qualità è passibile di ulteriore precisazione); l’altro si spinge oltre, ovvero si richiama alla primogenitura del Sangiovese, al punto da essersi dato un disciplinare aggiuntivo che prevede utilizzo di soli vitigni autoctoni, rese più basse di quanto richiesto dalle regole della DOCG, ecc.
Nonostante entrambe le neonate associazioni asseriscano di condividere i fini istituzionali del Consorzio e proclamino di voler collaborare con esso, in effetti le loro dichiarazioni programmatiche implicano più o meno esplicitamente una insufficienza appunto di quel disciplinare di cui il Consorzio è custode e garante. Potrebbe verificarsi, alle lunghe, un contrasto pericolosamente simile a quello che oppone il Consorzio della Valpolicella alle Famiglie dell’Amarone d’Arte.
In sintesi, Montepulciano rimarrà porto sicuro per chi cerca vini di sicura qualità e conveniente rapporto qualità/prezzo. In merito alla caratterizzazione territoriale delle singole etichette, occorre maggiormente conoscere dove si va a parare in termini di stile di produzione. Inoltre, in termini di valorizzazione di un comprensorio straordinario, vedere come le notevoli energie e competenze espresse dalla denominazione saranno impiegate promette di essere quanto mai interessante.
Riccardo Margheri