Un lunedì veramente scoppiettante quello del Merano Wine Festival. Una giornata di chiusura mai così ben frequentata a testimonianza del successo, oramai consolidato, che questa manifestazione riscuote presso il pubblico degli addetti ai lavori e dei wine lovers

Ultimo giorno che per tradizione significa da qualche anno la possibilità di assaggio di vecchie annate presso i banchi di alcuni degli espositori. Protagonisti ancora una volta di questo “evento nell’evento” i produttori toscani con una serie di etichette si attempate ma d’incoraggiante tenuta, quando non addirittura di splendida prestanza fisica.

Il tour ha inizio dal banco di Martino Manetti – Montevertine, ove la ressa è più che giustificata per aggiudicarsi un bicchiere del Chianti Classico Riserva (tale era all’epoca) 1979. Uno splendido sangiovese di grande eleganza, di nerbo acido e frutto (!) più che apprezzabili. Poca la strada da fare (il banco è quello adiacente) per scoprire un altro piccolo gioiello chiantigiano: il Flaccianello di Fontodi 1993.

Il sangiovese in purezza di Giovanni Manetti ostenta ancora oggi l’ottima prestanza fisica che gli è consueta; bastano infatti pochi giri nel bicchiere per cancellare la riduzione, più che comprensibile dopo il lungo letargo, e scoprire le mille sfaccettature evolutive del vitigno. Dopo Radda e Panzano, chiude la trilogia chiantigiana Barberino con Laura Bianchi ed il Castello di Monsanto; suo è il Chianti Classico Riserva Il Poggio 1982.

Se tradizione vuole che i vini di Monsanto abbiano ottime potenzialità d’invecchiamento, la bottiglia è piena conferma alla regola. Il tempo ha rilassato i tannini senza però piegare una dorsale acida che spezza l’incedere suadente dell’ingresso in bocca.

È la volta di Montepulciano con due “numeri uno” della denominazione. Apre le danze un eccellente Nobile Asinone 1999. Una materia prima di prim’ordine tramanda ai posteri un grande rosso solo minimamente  scalfito dalle prime rughe della vecchiaia.  Non poteva certo mancare nella carosello di vecchie annate una bottiglia dei poderi Boscarelli; al banco si stappa il Nobile Riserva 1983 e nonostante un sughero messo alle corde dal tempo il contenuto conserva il volto nobile di molti dei vini della famiglia De Ferrari.

Montalcino val bene una terzina d’assaggi. Alessandro Mori del Marroneto ha in serbo un Brunello 1991 che ci riporta gli albori della sua esperienza di vignaiolo. Un sangiovese incredibilmente attuale per un’azienda capace come poche altre in zona di rimanere fedele a se stessa nel corso dei decenni. Un altro Brunello dal sapore particolare è quello targato 1998 ai banchi Mastroianni; lo stile è inconfondibile, per certi versi austero, ancora ai giorni nostri ben sorretto da una scia tannica di prim’ordine. L’onore di chiudere la rassegna spetta d’obbligo a Biondi Santi ed al Brunello Riserva 1997; chissà cosa e dove sarebbe oggi la Toscana senza di loro marchio. Il bicchiere è l’ennesimo tributo a chi nel sangiovese da lunga percorrenza c’ha sempre creduto; forse, visti tutti gli assaggi, valeva veramente la pena crederci.

Daniele Bartolozzi