Barile con le cantine scavate nel tufo

Basilicata terra di vulcani spenti, di albanesi e grandi vini rossi.

Il mio viaggio nel Sud Italia continua. Dalla Campania mi dirigo verso est in una delle regioni più sconosciute, a torto, del nostro Bel Paese: la Basilicata.

Mi affaccio cosi alla zona del Vulture, vulcano ormai considerato geologicamente spento ma che ha creato con la propria vitalità, nel corso dei tempi, terreni fertili, in prevalenza minerali e porosi. Questa loro particolarità, nei periodi siccitosi, funziona da serbatoio d’acqua tanto che, i contadini del posto, la chiamano: “il tufo che allatta la vite”.

Nella falda sud occidentale del Vulture si sono formati due suggestivi laghi circolari che occupano i vecchi crateri eruttivi soprannominati amichevolmente “gemelli del vulcano” e che insieme a folti boschi di faggi offrono riparo dalla calura estiva: i laghi di Monticchio.

Il Vulcano con i laghi di Monticchio

Terra aspra questa parte della Basilicata. Terra di briganti, in passato luogo di confino, senza dimenticare il “dramma” emigrazione, fuggire dalla fame, avventurarsi al Nord in cerca di fortuna.

Paesaggi duri e allo stesso tempo fieri, che furono scelti da Pier Paolo Pasolini come sfondo del suo film “Vangelo secondo Matteo”, preferendoli alla Palestina per la loro  drammaticità.

Interno di una cantina

Sono in provincia di Potenza. Zone colonizzate intorno alla fine del 1440 dagli Albanesi, in particolare nei dintorni di Rionero in Vulture e Barile.

Proprio qui, per un caso fortuito, ho conosciuto un signore, uno dei “fuggitivi” verso il Nord in cerca di fortuna e dopo tanti anni rientrato con il suo gruzzoletto risparmiato nel tempo, al suo paesello, Barile.

Mi ha invitato a sedere al tavolo del bar nella piazza principale del paese e mi ha offerto, presa dalla personale cantina, una bottiglia “delle sue”. Mi ha raccontato un po’ della sua vita, quarant’anni passati a Milano per lavoro, del ritorno alle origini e “dell’immancabile fantasma” che ogni tanto si manifesta in una delle case più vecchie del paese.

Lo lascio a malincuore dopo aver assaggiato il suo Aglianico del Vulture e averlo descritto come “piacevole” (questo termine ha una vecchia storia che un giorno racconterò) e come vino onesto, tipico del contadino.

Vigneto di Aglianico

Era ora di visitare la bellissima via denominata “strada delle cantine”, costellata da una serie di suggestive porticine colorate posizionate a vari livelli tanto da ricordare lo sfondo di un presepe. Porticine dietro le quali si custodiscono tesori preziosi. Qui l’Aglianico del Vulture trova una delle sue massime espressioni maturando nei legni posizionati negli antri angusti scavati nel tufo.

Sono questi luoghi che esprimono un senso di sacralità sia perché sono molto simili alle catacombe cristiane sia perché custodiscono dai tempi “biblici” un vino intento ad addomesticare i propri nobilissimi tannini.

L’ingresso ad una cantina

Aglianico del Vulture, vino strepitoso, potente e allo stesso tempo fine, ricchissimo di profumi che ricordano la frutta scura matura. Palato complesso, avvolgente, speziato e con persistenze infinite.

Anche questa volta il vino ha avuto il pregio di avermi condotto in luoghi carichi di bellezze storiche e naturali, di avermi permesso di conoscere persone “vere”, generose e tutto questo suggerisce di non fermarmi.

Elisa Paolini