Perché il Chianti Classico è un po’ il gioiello storico, la punta di diamante delle tradizioni vitivinicole toscane

1716 – 2016 ovvero trecento anni dal momento in cui Cosimo III de’ Medici, per mantenere vivo il commercio con i paesi del nord, Inghilterra in primis, decise di dotarsi di strumenti che garantissero la qualità dei vini prodotti in Toscana. Fu così che emise due bandi. Il primo istituiva un vero e proprio organo di controllo, quella Congregazione che costituisce un modello ante litteram dei moderni Consorzi di Tutela. Il secondo delimitava i confini dei territori di produzione del Chianti (attuali confini del Classico), Carmignano, Pomino (attuale Chianti Rufina e Pomino), e Valdarno di Sopra. Il Chianti Classico costituisce la struttura portante, la zona più estesa e con il più ampio numero di aziende coinvolte rispetto alle altre. Le quali altre hanno uno standard qualitativo anch’esso molto elevato ed omogeneo, ma il Chianti Classico è un po’ il gioiello storico, la punta di diamante delle tradizioni vitivinicole toscane e per questo la degustazione dei suoi vini è sempre un momento fondamentale per la critica enologica e per gli addetti ai lavori.

Il Chianti Classico, con 560 associati, di cui oltre 360 imbottigliatori, ha al suo interno molte anime differenti per obbiettivi e metodi, ma in un mercato globale deve combattere le proprie battaglie sul campo della qualità più alta. In Toscana ha come competitors principali i grandi Brunello e, in parte, il Nobile di Montepulciano, oltre a una serie di Supetuscans ancora molto radicati nell’immagine del mercato internazionale. Il Chianti Classico e il Chianti Classico Riserva hanno etichette di grandissimo prestigio, ma accanto a queste ce ne sono altre,  dotate anch’esse della dignità di DOCG,  che sono molto meno significative, se non addirittura, in alcuni casi,  imbarazzanti.

Ecco quindi il perché della comparsa, nel disciplinare del 2013, della nuova tipologia “Gran Selezione”. Per avere il diritto a questa classificazione le uve devono provenire per intero dall’interno dell’azienda, da un singolo vigneto o da una cernita delle migliori uve di proprietà. L’invecchiamento minimo è di 30 mesi, di cui tre in bottiglia. I parametri chimico-fisici della Gran Selezione sono molto più restrittivi della Riserva.

Detto questo, qual è lo stile attuale di questi vini? Possono dare effettivamente un’idea di quale sia un grande Chianti Classico? Ma soprattutto saranno in grado di portare alla definizione di Cru all’interno di un’area così vasta che le differenze tra una zona e l’altra si avvertono in maniera troppo chiara per essere nascoste in un’unica parola?  L’esempio recente dell’operazione Berardenga, tendente a definire i dettagli e le  diversità delle singole sottozone della “farfalla”, sembra indicare che si voglia andare verso un concetto di differenziazione opposto a quella semplicità comunicativa derivante dal marchio unico e rassicurante del gallo nero.

Sono ormai disponibili dati di degustazione che risalgono alla Gran Selezione 2011, prima annata con un numero significativo di rivendicazioni, avendo poco senso un giudizio sulle 2008, 2009 e 2010 con pochissimi vini sotto quella menzione.

Le impressioni ricavate lo scorso anno sulle Gran Selezioni 2011 non erano per la verità molto entusiasmanti. L’idea che nasceva dagli assaggi era quella di una ricerca del soddisfacimento di una tipologia di mercato ben definita,  internazionale e amante dei vini frutto,  piuttosto che quella dell’avvicinamento ad archetipi di stile Gambelliano che costituiscono tuttora l’ideale di appassionati collezionisti in grado di condizionare comunque le quotazioni di questi prodotti.

Montalcino è già passato non indenne da questa strada, lasciando sul terreno la frantumazione di un’immagine una volta cristallina, oggi molto più soggetta a diffidenze e tenuta sotto strettissimo controllo. Ma Montalcino non aveva la possibilità di derogare dall’impiego di sangiovese 100% mentre lo stile asciutto gambelliano dei vini come  il Brunello di Biondi Santi o di Poggio di Sotto evidentemente non incontrava le simpatie della grossissima fetta di consumatori “istintivi” e “tutto frutto” del mercato internazionale. Di qui la ricerca di scorciatoie, che, come tutte le bugie, hanno avuto le gambe corte.

Chianti Classico dispone di un disciplinare che consente sia l’impiego di sangiovese in purezza, sia l’intervento dei vitigni internazionali in una misura sufficiente a rendere il gusto più “facile”. Quello che si trova nella bottiglia, insomma, deriva da una libera scelta del produttore.

Le impressioni ricavate dalla vendemmia 2011 della Gran selezione parlavano di vini molto estrattivi, con speziature marcate dal rovere, frutto nero maturo e tensioni acide molto sotto controllo. Vini larghi con molto frutto, colori profondi, struttura importante, che però dell’anima del sangiovese avevano solo un vago accenno.

Già nel 2012 la situazione va lentamente cambiando, con molti vini centrati, con dinamiche più snelle e meno “piacione” e con maggior rispetto per le caratteristiche di colore, di profumi e di sapori dell’uva sangiovese.

Nel 2013 nonostante le non molte etichette al momento disponibili, solo un campione su otto si è dimostrato fuori registro, mentre gli altri hanno lasciato intravedere vini di buon rigore e coerenza, dai profili accurati in grado di soddisfare palati esigenti e raffinati anche in ambito internazionale. Un modello promettente, specialmente se in futuro sarà completato dalla definizione del cru.

Tra l’altro la 2013 non è proprio l’annata del secolo, con un’estate molto calda e poco piovosa. Fortunatamente le piogge primaverili avevano creato buone riserve idriche che, grazie anche a escursioni termiche notevoli tra giorno e notte in settembre, hanno consentito una maturazione ottimale in molte aree.

Tornando ai vini “giovani”,  molto interessante l’assaggio dell’annata 2014, dal clima molto fresco e piovoso, annata che non ha consentito di ottenere grandi strutture ed ha voluto l’impegno durissimo dei viticoltori per raddrizzare una situazione molto sfavorevole nel vigneto. I vini sono a volte leggeri, ma saporiti e succosi e la bevibilità è in moltissimi casi la dote più evidente. Non grandi vini da invecchiamento, ma vini gustosi floreali e sapidi da consumare con grande piacere con la cucina di tradizione  toscana.

In DEGUSTAZIONI il report dei migliori assaggi.

Paolo Valdastri