Sigfrido Ranucci

Report ritorna ad attaccare il vino (https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-nemico-in-casa-5b31eabf-19ec-4ca8-8c54-19d458a6c4ac.html).

E riecco Sigfrido! Tutto contento del polverone suscitato dalle sue manipolazioni presso un pubblico di poveri consumatori da discount (con tutto il rispetto), è tornato a sommergerci con i suoi allarmismi costruiti su un’ignoranza della materia veramente abissale.

Alcuni colleghi autorevolissimi come Luciano Pignataro sul suo blog o Andrea Gori sul Gambero Rosso sono intervenuti richiamando giustamente alcune debolezze del sistema enologico e la maniera superficiale con cui alcuni comunicatori si rivolgono alla loro platea.

L’enologo Riccardo Cotarella

Nella parte prima di questo articolo (https://corrieredelvino.it/primopiano/sigfrido-e-il-crepuscolo-degli-dei-parte-prima/) ho richiamato l’assenza di reazioni da parte del mondo dei comunicatori della critica del vino, migliaia di degustatori professionali e fiumi di parole e di premi ormai tesi solo a incentivare i premiati a partecipare alle attività organizzate proprio dai premianti.

Tutti tengono famiglia, ovviamente, e poi siamo nell’era degli influencer i cui giudizi sono rigorosamente a pagamento, ma seguiti con fede cieca da un pubblico che fa fatica ad attivare il proprio cervello.

Il “metodo Sigfrido”

Sigfrido non si è ovviamente curato di leggersi il trattato di Luigi Moio “Il Respiro del Vino” (Mondadori 2016) ma si è accuratamente informato presso il suo amico esperto Checco Grossi che dal Merlot riesce a ricavare solo un rosato frizzante dai profumi indefiniti.

E da qui ha cercato di convincerci che tutto il vino è costruito in laboratorio mischiando vari liquidi, aggiungendo chips di legno, aromi artificiali e via dicendo. Addirittura ha trascurato (volutamente?) l’aspetto dei vini ottenuti dal “piccolo fisico” con i filtri tangenziali o filtri da feccia, tanto reclamizzati in televisione da testimonial famosi.

In definitiva dov’è la malafede di Sigfrido, una malafede che meriterebbe ben di peggio del crepuscolo degli dei e della cavalcata delle valchirie? Lo ho già denunciato nella parte prima: proviamo ad adottare il metodo Sigfrido a tutti i prodotti del mercato indistintamente e non solo al vino.

Vogliamo rimanere nel mondo degli aromi? Allora quando comprate una confezione di marmellata, di crema di nocciole, di biscotti, di torte, di conserve di verdura, cioccolatini, bevande con gas on senza gas, succhi di frutta, e potrei continuare fino alla noia, andate a leggere l’elenco degli ingredienti e additivi contenuti e le tabelle degli aromi e dei coloranti ammessi dalla legge italiana e comunitaria.

Uno per tutti: l’aroma di tartufo che trovate in numerosi formaggi, salumi, paste, cibi pronti, e via dicendo, quindi aroma di tartufo e non aroma naturale di tartufo. Si tratta semplicemente di bismetiltiometano ricavato dal petrolio.

Una sostanza amara e persistente che può provocare sensazioni fastidiose all’apparato digerente per svariate ore. Eppure tutti (o quasi) comprano questi prodotti vantando il fatto che a loro il tartufo piace.

Ora provate ad applicare il metodo Sigfrido e la lettura delle etichette ai prodotti agroalimentari che trovate in commercio nelle vostre spese giornaliere e cercate di trarne una conclusione.

La prima e più ovvia considerazione  è che i prodotti non sono tutti uguali. Esistono vari livelli di qualità e vari livelli di prezzo.

Non parlo di prodotti industriali: la bevanda gasata più famosa del mondo, aromatizzata, addizionata di acido ortofosforico ha quella ricetta e non si esce da questo schema. Ma una pasta, sempre per fare un esempio tra mille, può essere prodotta con grano Creso, di cui il 60% proveniente dal Canada e contenente tracce di glifosato, oppure prodotta con grani antichi come la tumminia o il perciasacchi da artigiani siciliani.

Pasta dop

L’una costa un quarto dell’altra, sempre pasta è, ma non siamo assolutamente di fronte allo stesso prodotto. E potrei fare altre decine o centinaia di esempi di questo tipo. Vogliamo parlare del mondo degli oli alimentari? Dell’aceto, balsamico in primis? Del cioccolato, del caffè?

E allora perché Sigfrido se la prende solo con il vino?  Le risposte possono essere tante, ma il problema di fondo è che il mondo della comunicazione sta passando un momento molto delicato.

Il pubblico, e parlo di migliaia di persone, che anche quest’anno sta frequentando le numerose fiere del vino, i saloni, le anteprime, gli eventi, e assapora contento e convinto un numero incredibile di vini di qualità, il pubblico che segue regolarmente i giudizi dei numerosissimi critici, non si lascia impaurire dagli anatemi di Sigfrido. Ma questo è un fenomeno che riguarda pur sempre una fascia ristretta di consumatori.

 

La massa, invece, non viene raggiunta dai messaggi “scomodi” per chi non ha la predisposizione o la passione o il tempo per informarsi. L’alimentazione vissuta come bisogno primario è spesso supportata da un edonismo elementare e originario che si limita al giudizio “mi piace” o “non mi piace”.

La critica enogastronomica è faticosa e complicata, è paragonabile all’agonismo nel campo dello sport, ma noi viviamo in un mondo totalmente amatoriale. C’è da chiedersi se attraverso i social e relativi influencer, pensando con il cervello degli altri (oltretutto pagati) è possibile che una cultura si sviluppi.

Paolo Valdastri