“J63” il Birrificio Agricolo Artigianale, di Cenaia (Pisa), esprime a tutto tondo le sue molteplici eccellenze.
Prima di parlare di Birra è sempre meglio approfondire la conoscenza dell’Orzo.
L’Orzo è stato il primo cereale coltivato dall’uomo a uso alimentare oltre 10.000 anni a.C. e come alimento si ottiene dalle “cariossidi” (frutti secchi “indeiscenti”, cioè frutti che giunti a maturazione non si aprono spontaneamente) di una pianta che si chiama “Hordeum Vulgare”. Questa pianta, appartenente alla Famiglia delle “Poaceae” meglio conosciute come “Graminacee”, è stata così denominata dal Medico, Botanico e Naturalista Svedese, Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), considerato l’ideatore della Classificazione Scientifica Moderna di tutti gli organismi viventi.
Antecedentemente all’Orzo coltivato, l’uomo aveva avuto i primi contatti “alimentari” con l’Orzo Selvatico “Hordeum Spontaneum”. Grazie al facile metodo di coltivazione, l’Orzo, è stato un tipo di coltura che ha modificato profondamente il modo di vivere dei nostri antenati, trasformandoli da cacciatori nomadi ad agricoltori stanziali, favorendo anche la nascita dei primi nuclei abitativi.
L’Orzo essendo ricco di fosforo, potassio, magnesio, vitamina PP, vitamina E, ferro e calcio, ha favorito anche lo sviluppo cerebrale dell’uomo. Grazie all’ingegno l’uomo incominciò a elaborare le prime tecniche agrarie ottenendo un surplus di alimenti che dovevano essere conservati, la conseguenza fu che tutto ciò andava preservato dal deperimento e dall’assalto dei roditori. Una delle soluzioni, che dava maggiori garanzie, fu quella di mettere i grani del raccolto in recipienti colmi di acqua, l’Orzo immerso dava inizio al processo della fermentazione, trasformando l’acqua in un qualcosa che oggi possiamo definire una “rudimentale Birra”.
La Birra è una delle bevande più antiche dell’Umanità
Le prime tracce ci giungono da scritti di origine Medio Orientale di circa 5000 anni fa, ma, dalle prove chimiche fatte su alcuni resti di antichissime ceramiche, si può azzardare a dargli un luogo e una data di nascita in un Territorio che corrisponde, a grandi linee, all’attuale Stato dell’Iran, più di 7000 anni fa. Già i Sumeri (prima popolazione sedentaria al Mondo), che vissero 4000 anni fa sui monti della Mesopotamia, bevevano Birra e la chiamavano “Se-bar-bi-sag” (bevanda che fa vedere chiaro). Questa bevanda dava ai nostri antenati più forza e felicità, rendendoli più pronti ad affrontare la vita terribile di allora: da ciò essi ritennero che in questo ci fosse un qualche intervento divino. Anche gli Egiziani facevano largo uso di Birra ma, nei momenti di carestia, quando tutto l’Orzo veniva destinato all’alimentazione, bevevano il “Vino di palma” che ricavavano dalla linfa zuccherina della pianta.
La Birra non piaceva molto ai Greci che la dileggiavano definendola “Vino d’orzo”, e anche i Romani, pur conoscendola, non né facevano un largo consumo ma la relegavano soprattutto nel campo della cosmesi femminile per la pulizia e il nutrimento della pelle. La Birra, come bevanda, era invece largamente diffusa in tutta le Province dell’Impero Romano. In quei Secoli lontani fu chiamata, soprattutto, Birra, Ale e Cervisia. Il primo appellativo, molto probabilmente, deriva dal Latino “Bibere” (bere), mentre il secondo era usato dai popoli nordici e dagli Inglesi, il terzo deriva dal Gallico “Cerevisia” ed è all’origine di definizioni moderne di Birra come il termine Spagnolo “Cerveza”. Attraverso i millenni la Birra fu perfezionata e, in tutte le epoche, ebbe grande importanza, fino a raggiungere i nostri giorni in cui ha una posizione di grande prestigio tra le bevande alcoliche.
Oggi il mercato mondiale è in mano alle grandi Multinazionali e a migliaia di Piccoli Produttori. In anni più recenti molti degli appassionati “Homebrewers” (in Inglese coloro che si dedicano alla “Homebrewing”, arte di produrre Birra in casa) in Italiano definiti “Domozimurghi” (dal Latino Domo = Casa e Zimurgo = Colui che pratica la zimurgia o scienza della fermentazione) si sono messi in gioco commercializzando le loro preparazioni artigianali.
La Birra Artigianale
È un prodotto fresco e genuino, totalmente naturale, non pastorizzato, spesso non filtrato, senza conservanti e prodotto usando una materia prima di primissima scelta. Secondo la definizione più recente dell’Unionbirrai (l’Associazione di categoria dei piccoli Birrifici): “Una Birra Artigianale è cruda, integra e senza aggiunta di conservanti, con un alto contenuto di entusiasmo e creatività. Una Birra prodotta da Artigiani in quantità sempre molto limitate”.
Oggi parliamo di uno specifico Birrificio, inaugurato nel Luglio del 2013, denominato “J63” che è si “Artigianale” ma anche “Agricolo” e che ha Sede a Cenaia in Provincia di Pisa.
I “Birrifici Agricoli” sono sì Produttori di Birra ma anche Agricoltori, con uno strettissimo legame con il proprio Territorio e rappresentano un importante modello di rivitalizzazione delle piccole Città e delle Zone di Campagna. I “Birrifici Agricoli” hanno l’obbligo di sottostare ad alcune regole precise dovendo realizzare Birre con una percentuale, che non può essere inferiore al 51%, di materie prime prodotte in proprio o all’interno di un Consorzio.
Mentre i semplici Produttori di Birre Artigianali si possono rifornire ovunque. Ma non è solo una questione di percentuali, infatti un Birrificio Agricolo se vuole aromatizzare le proprie Birre può farlo utilizzando solo prodotti legati al proprio Territorio, inoltre non sono ammessi conservanti di alcun genere e la trasformazione dei cereali può avvenire soltanto con impianti non industriali.
Per promuovere e tutelare l’attività dei “Birrifici Agricoli” esiste, dal 2003, il Consorzio Italiano di Produttori dell’Orzo e della Birra e a garanzia dei Consumatori il Marchio Collettivo di Garanzia di Origine e Qualità “Birragricola Italiana”.
Birrificio Agricolo Artigianale “J63”
È ubicato all’interno della Tenuta Torre a Cenaia (Antica Tenuta Pitti) che grazie all’Antico Borgo, ai due Ristoranti (Osteria Agricola Toscana Pitti & Friends e Brew-Pub, Ristorante e Pizzeria J63), al bellissimo giardino, ai laghetti, ai boschi, ai 30 Ettari di Vigne e ai suoi 500 Ettari di Campagna Toscana incontaminata (sono Biologici al 100%) crea una magnifica e suggestiva oasi di pace e tranquillità, ricca anche di gustosi sapori.
La “Tenuta Torre a Cenaia” è il cuore originario dell’odierna Cenaia, una popolosa e dinamica Frazione del Comune di Crespina Lorenzana. L’Antico Borgo della Tenuta, caratterizzato dalla Casa Turrita un tempo parte del più vasto “Castello di Cenaja”, è attestato per la prima volta in un documento del 1068. Il nome Cenaia che sembra derivare dal Latino “Caenum” (Fango/melma) e Cenaja (o Cenaria) avrebbe indicato proprio le Terre paludose ai piedi del Castello, costruito sull’unica zona sopraelevata al riparo dalle acque.
Durante tutto il XIII Secolo il Borgo subì numerosi attacchi a opera delle Truppe Fiorentine che proprio qui si scontravano spesso con le Armate Pisane. Per questo motivo nel 1286 i Pisani scavarono, all’odierno confine nord-orientale della Tenuta, il Fosso Arnonico o della Guerra, nel tentativo di tenere a distanza i nemici. A questa fase risale la definitiva distruzione del Castello di Cenaja.
Nell’Alto Medioevo non si hanno notizie precise su chi abitasse e amministrasse il Borgo e i Terreni circostanti, più che verosimile pensare che la Tenuta fosse un presidio strategico Pisano sul “caldo” confine orientale. Allo stesso tempo, era un importante polo economico che, grazie alle vaste terre controllate dalla Casa Turrita, garantiva notevoli rendite e prodotti agricoli, in grado di sostentare gran parte della popolazione locale e cittadina.
La vocazione Vitivinicola della Tenuta risale alla celebre Famiglia Fiorentina dei Pitti, proprietaria delle Terre Cenaiesi fino agli inizi del Ventesimo Secolo. In particolare fu il Conte Robert Pitti (classe 1923) a infondere all’intero Territorio questo carattere distintivo che tutt’oggi lo rende celebre, e per sua decisione Torre a Cenaia ereditò la possibilità di utilizzare sia il nome Pitti che lo Stemma Araldico della Casata, unitamente alla denominazione “Cenaja Antica Proprietà dei Pitti”.
Altri importanti Personaggi hanno segnato successivamente la Storia dalla Tenuta, basti pensare a Otto Ernst-Flick, del quale restano ancora oggi le iniziali sul cancello d’ingresso. Magnate Tedesco di grande spessore internazionale, imprenditore e azionista della Daimler, multinazionale dell’industria automobilistica che annovera tra i propri Marchi anche la Mercedes Benz, segnò per Torre a Cenaia una vera e propria età dell’oro. Durante la sua permanenza, tra le stanze di Villa Valery poteva capitare di imbattersi in figure quali il Cancelliere Tedesco Willy Brandt e Christina Onassis.
Perché “J63”?
Anche il Birrificio Agricolo Artigianale “J63” ha nel suo nome una particolare Storia. La lettera “J” corrisponde a “Julia”, la giovane martire diventata poi Santa Giulia Patrona di Livorno. Secondo la tradizione, elaborata da una Passio (Parte dei Vangeli in cui è narrata la Passione di Gesù) risalente al VII Secolo, Giulia era una fanciulla Cartaginese che, divenuta schiava, fu venduta a un commerciante di nome Eusebio, il quale ne aveva apprezzato le doti e le virtù dell’animo. Giulia soleva pertanto accompagnare il padrone negli impegni di lavoro e proprio durante un viaggio in Corsica, per ragioni di commercio, fu rapita da un uomo perverso e violento.
I seguaci di costui condussero a terra la fanciulla, cercando di indurla a ripudiare la Fede Cristiana. Dato che i loro sforzi si dimostrarono vani, dapprima la sottoposero a torture e flagellazione, quindi la crocifissero. Subito dopo la morte della fanciulla avvennero vari miracoli e i Monaci della vicina Isola di Gorgona, avvisati in sogno dagli Angeli di questa straordinaria vicenda, trasportarono il corpo della martire dalla Corsica alla loro Isola.
Nel racconto della Passio si trovano mescolati elementi di verità con altri frutto della fantasia popolare.
Alcuni documenti più aderenti alla realtà storica ci inducono a pensare che Giulia fu uccisa a Cartagine, vittima della persecuzione verso i Cristiani a opera dell’Imperatore Gaio Messio Quinto Traiano Decio (201 – 251). Probabilmente, in quanto Civis Romana, Giulia non subì il supplizio della croce, condanna a quel tempo riservata a chi non possedeva tale status, ma verosimilmente venne decapitata o uccisa con la spada. Quando i Vandali invasero l’Africa (439), distrussero Cartagine e provocarono la fuga di molti Cristiani, le spoglie di Giulia giunsero in Corsica e alcuni secoli dopo, probabilmente nel 763, vennero definitivamente traslate a Brescia per volontà della Moglie e della Figlia di Desiderio, Re dei Longobardi.
Si presume che la nave con le spoglie sia approdata proprio al Porto Pisano di allora che era Livorno dove infatti si ha notizia della diffusione fin dal IX Secolo del culto verso la giovane martire. La Festa di S. Giulia, Patrona di Livorno, si celebra il 22 Maggio, giorno in cui, secondo i martirologi, ne sarebbe avvenuto il martirio. Si dice che le spoglie della Santa dirette a Brescia siano passate dall’Antico Borgo di Torre a Cenaia, dove sostarono una notte.
Il “63” è un numero ricorrente nella Storia di Torre a Cenaia e in particolare del Birrificio che oggi ha come Numero Civico, di Via Livornese a Cenaia (PI), proprio il “63” e visto anche che nel 1463 Luca Pitti, antenato dei Conti Pitti di Cenaja, fu nominato Capitano del Popolo acquisendo nello Stemma di Famiglia la Croce Rossa che oggi contraddistingue anche i Prodotti a Marchio Torre a Cenaia.
Il “Birrificio Agricolo Artigianale J63” ha Sede nel grande e accogliente Casolare di oltre 600 metri quadrati all’interno della Tenuta. Nel Locale oltre alla zona a vista riservata alla produzione delle Birra si trova anche il “Brew-Pub, Ristorante e Pizzeria”. La Cucina, dotata anche di un Forno a Legna di ultima generazione, si serve in grandissima parte di ingredienti prodotti all’interno della Tenuta o provenienti dal Territorio circostante.
In particolare, l’utilizzo di lievito madre, di farine non raffinate del Consorzio Pieve Santa Luce (Pisa) e la lievitazione naturale consentono di ottenere prodotti da forno di altissima qualità, genuini e perfettamente digeribili. Due ampie Sale riservate alla Ristorazione e il grande Parco esterno consentono di organizzare eventi di vario tipo durante tutto l’anno, oltre a concerti di musica live.
Recentemente ho avuto il piacere di pranzare al “Brew-Pub, Ristorante e Pizzeria J63” abbinando al loro gustoso cibo una degustazione delle loro Birre: “JLips” (alta fermentazione, Stile Italian Grape Ale, con Mosto di Uva Vermentino), “JPils” (bassa fermentazione, Stile Pilsner), “JBlanche” (alta fermentazione, Stile Blanche), “JBlonde” (alta fermentazione, Stile Blonde), “JIpa” (alta fermentazione, Stile India Pale Ale), “JRubra” (Dopplebock a bassa fermentazione) e “JBlack” (alta fermentazione, Stile Stout).
L’impostazione di base della Produzione del Birrificio Agricolo Artigianale “J63” si ispira allo Stile Belga, sul quale si innestano i caratteri specifici che risaltano grazie all’utilizzo di materie prime straordinarie provenienti dalla Tenuta e dal Territorio circostante. Ho trovato tutte le Birre da loro prodotte, ognuna con le sue specifiche prerogative, delle creazioni uniche che esprimono a tutto tondo piacevoli, nuove e gustosissime sensazioni.
Voglio ringraziare per la grande disponibilità dimostratami le gentilissime Irene Scrò, Responsabile dell’Ospitalità della Tenuta, e Valentina Bernini la Responsabile di Sala del Ristorante.
Qualcuno ha scritto: “Non importa quanto piena è la nostra vita: c’è sempre spazio per una Birra”. A maggior ragione se la Birra è buona, di grande qualità e nasce da una esperta passione come quella del “Birrificio Agricolo Artigianale J63” di Cenaia (PI).
Giorgio Dracopulos