Un vino che nella forma e nella sostanza si differenzia molto da quelli che hanno reso famose le colline di Montalcino

Luce della Vite, l’originale progetto nato dalla collaborazione dei toscani Marchesi de’ Frescobaldi e il colosso statunitense Mondavi, è stato festeggiato venerdì 21 febbraio a Roma, celebrando le venti vendemmie di prodotto che di certo non passa inosservato. Un vino che nella forma e nella sostanza si differenzia molto da quelli che hanno reso famose le colline di Montalcino, dalle quali nasce anche Luce appunto, ma che nel suo essere un’etichetta “di rottura” mantiene comunque un’anima non banale.

Volevamo fare un vino diverso a Montalcino – ha detto Lamberto Frescobaldi spiegando il progetto Luce della Vite – e a venti anni dal suo inizio possiamo dire di esserci riusciti e di voler proseguire su questa strada”.

L’annata 1993 è la prima imbottigliata, dalla quale è partita ovviamente la straordinaria verticale completa di tutte le annate svoltasi nel pomeriggio di venerdì 21 con i sommelier di Franco Maria Ricci al Cavalieri Hilton di Roma, e per quell’epoca sembrava una rivoluzione molto commerciale il mescolare in parti più o meno uguali il severo Sangiovese toscano e il morbido Merlot. Un po’ come succede a tante band del rock che, dopo i primi successi di critica e fan, cominciano a imboccare la strada di canzoni facili e scontate, magari sostenute dalla “major” di turno.

Una storia che con Luce della Vite vedrebbe la Robert Mondavi nel ruolo della casa discografica che punta a fare soldi, snaturando il concetto di vino toscano. Ma secondo Lamberto Frescobaldi le cose non stanno così: “Si sentirono tanti pregiudizi quando nacque la nostra joint venture con Mondavi, in molti si aspettavano un vino mollaccione e invece lo stile di Luce della Vite era ed è rigoroso. Il segreto è in un esempio unico di condivisione, un accordo che sarei pronto a rifare domani se trovassi un partner come Mondavi che era già un colosso ma si è sempre posto alla pari con noi, innalzando la considerazione del nostro brand a livello mondiale (con i clienti e con i fornitori). L’apporto di Robert Mondavi andava dalla vigna alla cantina, d’altronde in due si lavora meglio, quando si è da soli si è più accondiscendenti verso il proprio lavoro”.

Una collaborazione conclusa nel 2004, quando Mondavi fu acquisita da un gruppo ancora più grande, la Constellation Brands (Clos du Bois, Ruffino e quasi altre 50 cantine nel mondo, solo per rimanere nel vino). “Con loro la collaborazione, per come la vedevamo noi, era impossibile – spiega Lamberto Frescobaldi -, non si parlava più tra uomini ma tra manager, senza anima, e abbiamo deciso di proseguire da soli”.

L’appuntamento romano per le venti vendemmie di Luce della Vite è proseguito la sera a cena con alcuni esponenti della stampa e dell’informazione online, blogger compresi, al ristorante “Il Convivio Troiani” a due passi da piazza Navona. Qui un menù dedicato al territorio romano ha trovato felice abbinamento con Luce, anche in versione Brunello di Montalcino (per i maliziosi confermo subito: si, lo stesso giorno in cui si apriva “Benvenuto Brunello”), a conferma della capacità di questo vino di incontrare sapori forti senza uscirne sconfitto a causa di un gusto troppo morbido e rotondo. A proposito poi di dolcezza rimando alla nota gastronomica finale, se il Luce della Vite ha ben accompagnato il piatto segnalato c’è di che stare tranquilli sulla sua austerità.

 

Di seguito le note di degustazione dei vini rossi della serata.

Luce della Vite 2010 – Una buona annata a Montalcino in coincidenza con il raggiungimento della “maggiore età” di questo vino, che si presenta con tannini rotondi e gusto tipico del territorio ben individuabile. Il colore rosso rubino, i sentori di frutta rossa pieni confermano l’idea di un vino che può e deve aspettare ancora sebbene, e questa forse è una differenza dovuta alla presenza di Merlot, non si fa fatica a berlo già ora.

Luce della Vite 2011 – Magnum degustata in anteprima, l’annata sarà infatti presentata ufficialmente al prossimo Vinitaly. Il naso è ancora troppo coinvolgente, il frutto predomina sugli aromi terziari ed è difficile dare un giudizio completo. Tuttavia si individua un buon prodotto, ai livelli del 2010 e forse anche meglio in prospettiva grazie ad una freschezza che ha caratterizzato la stagione fin quasi a metà agosto, mantenendo in questo vino sia la vivacità che la ricchezza.

Luce della Vite 2000 – Una sorpresa a tutti gli effetti, la freschezza di questa annata è straordinaria, fino al punto di far leggere e rileggere più volte l’etichetta per controllare l’anno di produzione. Il vino è pieno e rotondo, i tannini si sono ulteriormente affinati ma soprattutto il naso beneficia di un periodo più lungo per agevolare il ritorno del Sangiovese sul Merlot, lasciando fluire sentori più affascinanti rispetto al predominio dei frutti rossi. L’annata calda non ha quindi smorzato la forza di questo vino, che forse non è al livello del 1999 e del 2001 ma rimane un gran bel prodotto.

Luce Brunello di Montalcino 2009 – Un’etichetta che più di quella di Luce della Vite lascia a bocca aperta per il classico Brunello, prodotto con solo Sangiovese Grosso come vogliono disciplinare e tradizione, imbottigliato dal 2003. Ma nel bicchiere il vino, e ci mancherebbe, è un Brunello vero e proprio, con importanti tannini e sentori eleganti di spezie, fino a note balsamiche. Un vino forse più difficile rispetto ai primi degustati, ma che nel tempo sa farsi apprezzare.

 

Nota gastronomica.

Il Convivio Troiani” ha elaborato per l’occasione un menù dal titolo “Il Territorio Romano” composto da: Sfizio di benvenuto dello Chef; Fiori di zucca dorati con mozzarella di bufala DOP, filetti di acciughe, sorbetto agro dolce piccante di peperoni; Fegato grasso d’oca al torcione in crosta di fichi moscioni, brioche ai pistacchi; Creme brulé di formaggio erborinato locale con pere al coriandolo, granita di Porto; Agnello della campagna romana in tre preparazioni; Paccheri di Gragnano alla Amatriciana; Crostatina all’olio d’oliva di ricotta e visciole, gelato di pinoli romani e salsa di pistacchio;piccola pasticceria.

A parte la scelta, azzeccata, di lasciare per ultima una pasta così sapida e ricca come la Amatriciana, va assolutamente raccontato il Fegato grasso d’oca al torcione in crosta di fichi moscioni. Un piatto avvolgente, che sembra potenzialmente stucchevole per l’unione del gusto dolce del fegato con quello ancor più zuccherino dei fichi moscioni, invece il risultato è superbo, elegante e di classe. Non stanca, anzi con la brioche ai pistacchi si vorrebbe subito fare il bis. Ovviamente necessita di un vino che sappia pulire la bocca e resistere a tanta dolcezza.

Fabio Ciarla