Seconda puntata: il formaggio bavarese

Da giovani lo chiamavamo Ramek. Il mio amico Carlo era famoso per la quantità di formaggini che riusciva a divorare nel corso delle nostre balneari merende e il Rahmeck della Kraft era allora il suo preferito. Svuotava interi scaffali del supermercato contribuendo molto al rilancio dell’economia tedesca postbellica e forse molto poco alla sua salubrità della sua dieta.

Piaceva anche a me quel formaggio tenero, nella mia giovanile sprovvedutezza in tema di  prodotti alimentari. Ricordo benissimo l’etichetta dove c’era una frase per me affascinante quanto incomprensibile, scritta in un linguaggio ostrogoto: “Allgauer Rahm Kasezubereitung”. A malapena riuscivo a collegare “kase” con “cacio” e mai avrei pensato che un giorno avrei visto materializzarsi quelle parole. E ora invece sono proprio in Allgau e sono qui magari non per la preparazione cremosa, ma per visitare caseifici e malghe alpine. Sorprese della vita.

 

Devo confessare che, prima di partire per questo viaggio di studio in Baviera organizzato dalla Camera di Commercio Italo Tedesca di Monaco, non avevo una grande stima per i formaggi tedeschi. Colpa forse del metodo di distribuzione, tutto affidato alla GDO,  soprattutto alla catena dei grandi discount, ma anche ai pregiudizi derivanti dalle numerose imitazioni italian sounding come il parmesan o la mozzarella. Pensavo ad allevamenti in batteria con mucche costrette a ingozzarsi di mangimi di dubbia provenienza e a latte privo di sapori e di puro stampo industriale.

Ed eccomi invece a percorrere praterie verdissime, paesaggi montani aperti e ampi, dove lo sguardo può spaziare da un verde all’altro in completo riposo dei sensi ed una volta fermo, ad ascoltare i rintocchi cadenzati di placide mucche al pascolo. E addirittura ad assaggiare latte crudo ritrovando tutti i profumi di quelle erbe.

 

Facciamo la prima sosta alla fattoria Stögerhof di Rieden am Forggensee, produttrice di formaggi biologici certificati. Konrad Stöger ha antenati veneziani e nella sua fattoria c’è una targa che ricorda un accampamento di epoca romana. Possiede 55 mucche che pascolano in 60 ettari di prato. Siamo a 860 metri slm e qui la coltura del grano è impossibile rendendo necessario acquistare il mangime, composto però da cereali certificati bio che integrano con l’erba ricavata da quattro tagli annuali.

 

Le stalle sono precise e pulite e le mucche ben curate si prestano volentieri all’obbiettivo della macchina fotografica con pose simpatiche. Il latte si può bere crudo ed è consistente e profumato di pascolo. La produzione consiste in tre tipi di formaggio, o più precisamente in un tipo solo di formaggio aromatizzato in tre differenti maniere: con erbe aromatiche di campo, con peperoncino e con pepe e spezie.

 

Molto sapidi e saporiti sia nella versione alle erbe che in quella al pepe e spezie, mentre il peperoncino è meno convincente. Viene utilizzato un cayenne, capsicum anuum piuttosto aggressivo e con un fondo amarognolo che contrasta con l’amaro naturale del formaggio.

Resto con la convinzione che si potrebbe usare un po’ più di fantasia nella produzione.

La tappa successiva è a Gunzesried dove visitiamo la malga Gerstenbrändle aperta da primavera ad autunno a 1000 metri di altezza. Un paesaggio alpino idilliaco, con prati splendenti di smeraldo, aria pura profumata, fine e fresca, rintocchi di campanacci ovunque. Una piccola malga ma ben attrezzata per ricevere il pubblico, con un minuscolo ristorante, tavoli all’aperto, ottime birre per accompagnare i formaggi di produzione propria: trenta mucche di proprietà e 600 quintali di latte lavorato e trasformato giornalmente nel calderone di rame utilizzando caglio naturale di vitello e fermenti lattici indigeni.

Viaggio in Baviera Svevia e Algovia tra formaggi e grandi chefTre sono i tipi di formaggio prodotti: un Bergkäse, un Tisliter ed un Romadur. La differenza fra questi consiste principalmente nella forma, grossa e rotonda per il formaggio di montagna, circa 24 kg, nella frantumazione della cagliata, più fine in questo caso e dalla temperatura di cottura più alta.

Il Tilsiter ha forma di parallelepipedo e pesa sui 3,5 kg, la frantumazione della cagliata è meno fine e il riscaldamento si arresta a 38°C.

Viaggio in Baviera Svevia e Algovia tra formaggi e grandi chefIl Romadur ha ancora forma parallelepipeda ma di dimensioni inferiori arrivando a pesare 3-400g. La frantumazione della cagliata è grossolana delle dimensioni di una noce, il riscaldamento avviene a 35°C.

I formaggi sono passati in salamoia al 23%, quindi si affinano in grotta per circa 6 mesi, anche se Bergkäse e Tisliter sono migliori un anno dopo la produzione.

Viaggio in Baviera Svevia e Algovia tra formaggi e grandi chefLo spettacolo del giorno è costituito però dalla preparazione del piatto più tipico dell’Allgau, i Käsespätzle, rigorosamente prodotti a mano sul momento. Su una fumante pentola di brodo si gratta una pasta di farina, uova, latte e spezie (noce moscata), quindi la si scola con un ramaiolo e si passa in una seconda pentola dove vengono irrorati, strato per strato, di burro della malga, cipolle abbrustolite nel burro, formaggio a pioggia, erba cipollina. Un piatto da orgasmo gastronomico garantito, da ricordare per anni e anni con completo disprezzo per colesterolo e compagni.

 

Il terzo appuntamento caseario avviene a Kempten, dove incontriamo il giovane affineur di formaggi Thomas Breckle, uno dei cinque attivi in Germania, nel suo negozio Jamei.

La grotta di affinamento è attiva da circa 200 anni e si trova a 20 metri di profondità. Contiene 20 tonnellate di formaggio, la maggior parte del quale è venduta nel circuito della ristorazione di eccellenza.

Viste le premesse mi aspettavo una selezione di formaggi abbastanza articolata, magari non di pecora o capra, ma di differenti formati, tipi di cottura, paste molli e paste dure. E invece il formaggio è di un solo tipo, il Bergkäse con la sua  tradizionale forma a ruota, latte vaccino da alpeggio a 1200m di altitudine, mentre quello che varia è l’affinamento.

12 mesi per il più fresco, un 24 mesi ed un 40 mesi dai forti sentori di erbe amare, quasi di rabarbaro con note balsamiche mentolate. Ha una grana morbida e opalescente costellata di cristalli di tirosina ben distribuiti, un sapore intenso e molto persistente.

 

Le conclusioni le traggo con il responsabile del settore caseario della camera di commercio.

Certamente la qualità del prodotto è ineccepibile, così come i sistemi di allevamento e di affinamento.

Quello che, a mio personale parere, non funziona è l’immagine generale che arriva al pubblico italiano con una comunicazione piuttosto distorta, centrata più su prodotti da discount che non sulla qualità degli allevamenti e della materia prima.

Parte della colpa di questo grossissimo limite deriva forse dalla mancanza di fantasia dei casari tedeschi. Le tipologie di formaggio proposte sono francamente inadeguate alla qualità della materia prima. Basta spostarsi a sud, sul fronte meridionale delle Alpi, in Italia o in Svizzera, per trovarsi di fronte a una girandola infinita di tipologie diverse, ottenute grosso modo nelle stesse condizioni.

Purtroppo si deve prendere atto che la grande industria casearia tedesca ha un numero di proposte superiore a quello dei casari artigiani, anche se in termini di numeri siamo sempre molto in basso e la qualità ovviamente è ben diversa da quella dei casari artigianali.

 

Ma il dramma è che, alla fine, quando si vanno a stilare le regole comunitarie di mercato, quando i nostri rappresentanti saporitamente pagati si siedono al tavolo delle trattative, chi ci rimette è sempre la produzione artigianale in buona compagnia con la difesa delle denominazioni locali.

Mentre il parmesan regna sovrano e indisturbato.

Chi sa mai perché……..

 

Paolo Valdastri

 

Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=Clq4zL_LO18&feature=em-upload_owner