Chi Vi scrive ha avuto l’opportunità, il piacere e l’onore di visitare per tre giorni le terre del Primitivo di Manduria, ospite dell’omonimo Consorzio. E’ stato un viaggio provvido di suggestioni, approfondimenti, e gratificazioni. Come tutte le vere esperienze del genere, mi ha soprattutto insegnato qualcosa

Agricola Erario – Un DOC, una Riserva e un Dolce Naturale in degustazione: il Diavolo Rosso ’10, dall’esuberante gradazione di 17°, non convince pienamente, semplificato nell’estrazione aromatica, dolce all’ingresso del palato, ma magro a centro bocca e dal tannino un po’ scabro. La Ris. L’Unico ’09 è al contrario molto accattivante, specie al naso, con sentori di tamarindo e una piacevole nota erbacea rinfrescante; anche il palato ha una beva aggraziata, non pesante, con la larga dolcezza del frutto all’ingresso che permane per una durata accettabile ma senza grande complessità. Infine, il Dolce Naturale Idillio ’10 ha naso non particolarmente intenso ma articolato da frutto piuttosto fragrante, cola, scorza di arancia; il palato è avvolgente, alcolico, di media lunghezza, abbastanza equilibrato ma un poco amarognolo nel finale.

Antica Masseria Jorche – Note molto liete dalla giovane azienda delle sorelle Gianfreda, Dalila ed Emanuela (anche enologa in carica). La tradizione familiare è di produzione di vino da taglio, ma la consapevolezza di avere a disposizione un terroir d’eccezione (terreni ricchi di ferro e arenaria, vigne ad alberello di quarant’anni di vita vicine al mare) ha spinto al grande salto e alla costruzione della nuova cantina. Due etichette presentate: il DOP ’11 vuole tempo (legno ancora da digerire pienamente), ma già mostra complessità aromatica di rango (toni salmastri, affumicati, quasi di cappero, oltre al frutto naturalmente…) e polpa piacevole. La Riserva ’10 è tra le poche che mostri come questa tipologia possa far intravedere orizzonti ancora inesplorati per il Primitivo: naso non appiattito su un frutto monolitico, nobilitato dalla profondità minerale; palato imponente ma elegante, avvolgente ma senza stuccare, dove l’alcool risulta una forza propulsiva della percezione del frutto e non un peso, e il legno puntella ma non copre. Impressionanti anche gli assaggi fatti in cantina delle prossime annate, dove le barriques non più tutte nuove (comprate alla bisogna) sono ancora meglio integrate.

Attanasio – Due sole referenze, di esecuzione corretta (vedi la misura nell’estrazione del tannino): un DOP ’10 con toni di confettura, macchia mediterranea e grafite al naso (appena surmaturo), con bocca peraltro dotata di buona freschezza, leggermente sgranata e appena amarognola nel finale; un Dolce Naturale (D.N.) ’11 più largo che lungo, abbastanza suadente e con una piacevole speziatura.

Bosco – Presenta tre DOP ’10: il più convincente è il Nonno, nel quale un naso ancora compresso rimanda a un palato teso e sapido, di bella dolcezza, con un tannino importante ancora in debito di affinamento, ma dalla beva sciolta grazie alla bella acidità, promessa di un interessante futuro. Il Gladio è più sul versante della semplicità e della scorrevolezza di beva: un po’ incongruo al naso per la compresenza di una vinosità immediata e note più evolute, con una volatile piuttosto alta (non è il solo); al palato l’acidità non impedisce la percezione dell’alcool sul finale. Infine, il Teseo: il naso intenso di frutta cotta, mirto e con una nota minerale, non fa presagire un palato sottile, un poco condizionato dal legno nella rugosità del tannino sul finale, ma di estrema pulizia.

Cantina di San Marzano – Feudi San Marzano – Quattro DOP e un Dolce Naturale per questa agguerrita cantina cooperativa, attualmente impegnata in un allargamento della struttura produttiva, e in un ‘opera di valorizzazione territoriale che contempla, in prospettiva, anche una potenziale struttura agrituristica in mezzo ai vecchi vigneti ad alberello, sfruttando i ripari (simili a trulli), costruiti dai contadini con i muri a secco per soggiornare in mezzo ai campi.

Coerente e affidabile lo stile dei vini proposti, con una presenza del legno usato per l’affinamento che certamente risente della poca permanenza in bottiglia, ma certamente risale a una precisa impostazione. Ci è piaciuto soprattutto il Sud ’11: dolcezza di frutto di buona lunghezza e “di soddisfazione”, una buona acidità a sorreggere e bilanciare, naso più sfumato aromaticamente su toni più salmastri e affumicati. Bene anche le due selezioni ’10 60 Anni e 62° Anniversario: il primo piacevolmente complesso al naso (si percepiscono anche note di legno di sandalo e tabacco), più diretto sulla dolcezza al palato, senza mancare in acidità; il secondo gradevole per frutto ed equilibrio, anche se meno legno sul finale ne avrebbe fatto maggiormente apprezzare l’allungo. Ancora sottosopra il Falò ’12, in debito di definizione e di precisione, ma assolutamente da risentire per polpa e pienezza. Infine il Dolce Naturale 11 Filari ’09: il lungo affinamento aggiunge note speziate alla dolcezza del frutto, in un volume complessivo non particolarmente potente ma molto ben equilibrato.

Cantine Due Palme – Della copiosa produzione di questa grande e blasonata cooperativa, in degustazione solo il DOP Sangaetano ’12 che non manca di qualità ma in cui sembra di rilevare un poco di costruzione enologica: sia al naso (esuberanza di frutto, ma anche legno un poco invasivo e alcool in evidenza); sia al palato, con tannino sgranato e dolcezza accattivante ma poco congruente con la sottigliezza a centro bocca.

Cantine San Giorgio – Feudo di Santa Croce – Tre DOP ’11 presentati, tutti in uno stile di vinificazione che prevede un legno piuttosto abbondante, con alterni risultati. Nel Diodoro il legno (quasi resinoso!) annichilisce tutte le note fruttate, al naso e al palato, che si intravedono solo dopo una lunga ossigenazione; la bocca fortunatamente è equilibrata e non pesante, con un tannino abbastanza rifinito, anche se permane un poco di amaritudine finale. Peggio il Byzantium, anche “stopposo” al palato, dall’acidità scomposta, se non altro in debito di affinamento in bottiglia. Ma molto meglio la selezione LXXIV: naso ancora in divenire, ma non si può nascondere un tappeto di

confettura di mora e note balsamiche; e in bocca c’è potenza, pienezza, insieme a garbo nell’estrazione tannica e un buon equilibrio, grazie a un’acidità che garantisce al vino un futuro da esplorare.

Cantolio – Le due selezioni 14,0 Di Terra e 15,0 Di Mare annata ’11 rispecchiano le differenze attinenti ai diversi terroir, con la sapidità derivante dalla vicinanza dei vigneti al mare elemento fondante di superiore equilibrio e maggiore profondità nell’espressione del vitigno. E così il Di Terra ha complessità aromatica (mirto, erbe officinali quasi mentolate, frutto nero in confettura) al naso; il palato, polposo ma non pesante, è più diretto ma piace per un equilibrio che slancia la beva. Il Di Mare è più reticente ma la viscosità nel bicchiere ne fa presagire la densità: e infatti il palato è sapido, profondo, si allarga con dolcezza di frutto (mirto), sembra quasi sparire a centro bocca per poi riaprirsi con bevibilità che dà soddisfazione.

Delle due etichette annata ’12, l’Urceus è il più convincente, su uno stile “moderno”, morbido e avvolgente nell’esuberanza alcolica, un po’ condizionato dal legno (anche note di pasticceria al naso, tannino leggermente sgranato). Il Mandonion è probabilmente ancora in divenire, incerto al naso, con una strana nota di idrocarburi che al momento copre mineralità e frutto comunque presenti; al palato è prudente nell’estrazione, più alcolico che morbido, “diritto” nell’espressione aromatica.

Infine, i Dolce Naturale: l’Abeterno ’07 ricorda un Porto Tawny con meno peso e acidità, levigato nel tannino, speziato nell’espressione aromatica, mentre il Diva ’11 ha naso incerto (nota affumicata, cappero), e palato che manca di definizione aromatica e di acidità.

Consorzio Produttori Vini – Estesa e variegata la proposta di questa cantina cooperativa di Manduria (da non confondersi con il Consorzio di Tutela della denominazione), strategicamente situata nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria, da dove partivano i carri cisterna del vino da taglio destinato a rimpolpare i troppo scarichi vini del Nord…, e in epoca fillosserica utilizzato anche come base per la produzione dello Champagne. Si tratta di un marchio da sempre in prima linea nella diffusione del Primitivo di qualità (forse le prime etichette che si trovavano con continuità nelle enoteche nel Nord Italia), e tutt’ora impegnato nella valorizzazione di un’identità territoriale che non vuol dire appiattimento sulla tradizione, ma al contrario orgoglio di una storia che si rinnova (vedi lo splendido museo della civiltà contadina allestito nella sede sociale).

5 etichette a DOP presentate. Tre i ’12: slanciato dall’acidità e di buon frutto (ma un po’ semplice e non profondissimo) il Memoria; piacevole al naso per vinosità e una personale nota affumicata, più morbido al palato I Vini dell’Arco; e così il migliore è il Lirica: per la complessità al naso, ingentilito da una nota di erbe officinali che fa da pendant al frutto, mentre più suadente e semplice è il palato, che comunque non manca di mineralità.

Di alto livello i ’10: la selezione Bosco Marino è lo una splendida espressione di uno stile di vinificazione che non privilegia soltanto l’esplosività del frutto, ma ricerca piuttosto complessità aromatica (melograno, macchia mediterranea, floreale appassito), rispecchiata in un palato di delizioso, godibile equilibrio; la Riserva Elegia è giustamente ambiziosa, con un tannino che ancora un poco aggredisce ma acidità di rilievo, e uno spettro di profumi che contempla tabacco scuro, prugna, una nota iodata, macchia mediterranea; complessità che si ritrova anche nell’altra Riserva Sonetto (anche cappero, chiodi di garofano, una nota quasi di carne), con una bocca più levigata, un poco rigida nel finale.

Infine il Dolce Naturale Madrigale ’11: compresso al naso, di buona tensione e medio peso al palato, con frutto maturo che piacevolmente si allunga abbastanza ma senza grande sviluppo e articolazione.

La Casa del Primitivo – Siamo rimasti affascinati dal DOP Giudia ’08, perfetto esempio di uno stile di vinificazione che qualcuno adesso può considerare un po’ passatista, ma che ha fatto la fortuna, e la gloria dell’enologia pugliese con tante splendide etichette: il colore è leggermente evoluto, ma è sempre brillante; il naso è una cornucopia di sentori: ciliegia in confettura, ma anche alloro, cappero, macchia mediterranea; palato di tensione e mineralità, che non perde niente dal punto di vista aromatico, e finisce dolce con il ritorno delle note di confettura, in attesa di un futuro forse ancora più intrigante.

Più semplici le altre due referenze: il DOP Murandia ’12 è scorrevole, beverino, la dolcezza del frutto appena screziata da toni di tabacco e chinatura: il Dolce Naturale Porticella ’12, pur intenso al naso, soffre la volatile un po’ alta, e la bocca in debito di acidità che chiude leggermente astringente e amaricante.

Mottura – Presentato solo il DOP ’11 Villa Mottura, ed è un bel degustare: il naso è chiuso a doppia mandata, e solo una lunga ossigenazione “estorce” sentori di confettura di frtta rossa e cioccolato. Ma la bocca ha una bella compiutezza, è leggera, slanciata, finta semplice, fitta nel tannino, resa più polposa dall’alcool ben bilanciato dall’acidità, forse non ancora del tutto aperta aromaticamente ma già godibile e assolutamente promettente.

Soloperto – Due referenze: il DOP ’13 Centofuochi è in leggero debito di acidità e può quindi alle lunghe stancare la beva anche se il tannino è estratto con prudenza. Ma il Dolce Naturale ’12 Passu Lentu è il migliore degustato: riproduce con fedeltà al palato le note olfattive di confettura di mirtillo e macchia mediterranea, e finisce dolce senza stuccare.

Varvaglione – Vigne & Vini – Un’azienda moderna (preferisce scindere la coltivazione delle uve in quanto tale dalla vinificazione, anche se conserva dei vigneti di proprietà). Proiettata sul mercato internazionale, è ben consapevole di quel che il suo pubblico richiede (ben mirata la segmentazione delle linee di prodotto), ma è contemporaneamente capace di valorizzare un’anima profondamente territoriale, ad es. con l’assistenza prestata ai conferitori storici, con alcuni dei quali sono in essere contratti ultra-decennali. I DOP della linea Papale coniugano dolcezza di frutto e agilità di beva per la buona acidità, l’annata ’13 con disimpegnata leggerezza, il Linea Oro ’11 con maggiore avvolgenza e più invasiva (per il momento) presenza del legno. Questa ricerca di piacevolezza si riscontra anche nell’altro DOP Moi ’11, comunque in un diverso stile di morbidezza e maturità di frutto che si dispiega su note di fragola e lampone con un’adeguata ossigenazione; molto sapiente l’estrazione del tannino, di grana vellutata.

Riccardo Margheri