
Il comparto vitivinicolo giudica insufficiente l’accordo tra Unione europea e Stati Uniti sulle nuove tariffe al 15% per le esportazioni di vini italiani in vigore dal 1° agosto, ma al contempo attende il testo finale per una valutazione complessiva dell’accordo.

In particolare Frescobaldi, presidente della Uiv (Unione Italiana Vini) si esprime così: «Con i dazi al 15% il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano. Il danno che stimiamo per le nostre imprese è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari. Il danno salirebbe a 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione. Facciamo sin d’ora appello al governo italiano e all’Ue per considerare adeguate misure per salvaguardare un settore che grazie al buyer statunitense era cresciuto molto”.
E aggiunge: «Con l’incontro di oggi in Scozia fra i presidenti Trump e Von der Leyen si è almeno usciti da un’incertezza che stava bloccando il mercato; ora sarà necessario assumersi il mancato ricavo lungo la filiera per ridurre al minimo il ricarico allo scaffale.
Secondo le nostre analisi, a inizio anno la bottiglia italiana che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduta in corsia a 11,5 dollari; ora, tra dazio e svalutazione della moneta statunitense, il prezzo della stessa bottiglia sarebbe vicino ai 15 dollari. Con la conseguenza che, se prima il prezzo finale rispetto al valore all’origine aumentava del 123%, da oggi lieviterà al 186%».
Per l’Osservatorio Uiv, il conto si fa molto più salato alla ristorazione, dove la stessa bottiglia da 5 euro rischierà di costare al tavolo – con un ricarico normale – circa 60 dollari.
«Non ci si può ritenere soddisfatti per questo accordo – ha detto il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti – Un dazio al 15% è certamente inferiore all’ipotesi del 30%, ma è altrettanto vero che questa tariffa è enormemente superiore a quella, quasi nulla, del pre-dazio. Rispetto ai competitor europei, l’Italia rischia inoltre di subire un impatto maggiore, da una parte per la maggiore esposizione netta sul mercato statunitense, pari al 24% del valore totale dell’export contro il 20% della Francia e l’11% della Spagna; dall’altra per la tipologia dei prodotti del Belpaese che concentrano la propria forza sul rapporto qualità prezzo, con l’80% del prodotto che si concentra nelle fasce “popular” – quindi a un prezzo franco cantina di 4,2 euro al litro – e con solo il 2% delle bottiglie tricolori collocato in fascia superpremium”.
Secondo l’Osservatorio Uiv, il rischio – qualora non si attivasse una riduzione dei ricavi lungo la filiera, che rappresenta comunque un danno – è di trovarsi, a fine 2026, vicino ai valori espressi nel 2019.
Per Uiv, ben il 76% (l’equivalente di 366 milioni di pezzi) delle 482 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti si trova in “zona rossa”, con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%.
Aree enologiche con picchi assoluti per il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, quelli piemontesi al 31% così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco. In totale sono 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1.3 miliardi di euro, ovvero il 70% dell’export italiano verso gli Stati Uniti.

Consorzio Brunello di Montalcino
E Giacomo Bartolommei, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino commenta così: «I dazi al 15% infliggeranno un duro colpo al Brunello di Montalcino, principale simbolo del Made in Italy enologico negli Stati Uniti, e metteranno a dura prova la resistenza delle aziende. In attesa di conoscere la lista dei prodotti dazi ‘zero per zero’, è evidente che l’applicazione del dazio causerà un rallentamento delle esportazioni verso la nostra prima destinazione di sbocco».
E prosegue: «Il mercato americano vale il 30% delle nostre esportazioni, pari a oltre 3 milioni di bottiglie; in questo scenario sarà difficile se non impossibile riallocare l’invenduto nel breve periodo su altre piazze. Per questo è necessario procedere celermente sulla via di nuovi negoziati commerciali, a partire dal Mercosur, per aprire nuove rotte.
Il Consorzio del vino Brunello di Montalcino – conclude il presidente – continuerà a presidiare il mercato statunitense. Infatti, abbiamo già confermato tutti gli appuntamenti del 2026 come il Benvenuto Brunello a New York e la partecipazione al Food e Wine ad Aspen, uno dei festival più importanti del settore negli Usa. Al contempo stiamo predisponendo un piano rafforzato di promozione in Asia».