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I veri autoctoni dell’Alta Toscana

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Lunigiana misteriosa (alessiograzi)

Alla scoperta dei vitigni veramente autoctoni della vasta area contrassegnata dal “dito dell’Alta Toscana”: valli della Lunigiana, Garfagnana e Colli Apuani.

Zone caratterizzate in parte dalla presenza del mare a cui si susseguono, nell’arco di pochissimi chilometri, le prime pendici montane delle Alpi Apuane intercalate da versanti collinari o svettanti cucuzzoli come nella zona del Candia. Senza dimenticare la “cordigliera appenninica”.

Ho precisato: “veramente autoctoni”, perché?

Letteralmente il termine autoctono sarebbe da intendere “quello il cui primo esemplare sia nato proprio in uno specifico territorio”. In realtà oggi, nel lessico comune ne è stato ampliato il significato.

Sono considerati autoctoni i vitigni la cui presenza in un certo luogo è da considerarsi “antica”, sia per testimonianze orali o scritte, sia in assenza di fonti che documentano che semi o barbatelle di quel vitigno derivino da altre zone.

Ecco allora passare per autoctoni anche vitigni la cui origine da altri luoghi è certa e la provenienza magari certificata. Per superare questa strana ma accertata dissonanza cognitiva ecco farsi largo il termine: vitigno locale. Un esempio?

Come chiamereste un cabernet sauvignon che è presente in un luogo da oltre duecento anni? (es: il cabernet della Docg Carmignano?). Vitigno autoctono?

Qualche dubbio l’avrei, meglio vitigno locale.

Pollera nera

La mia scoperta tiene conto della prima definizione, quasi come un dogma: “quello il cui primo esemplare sia nato proprio in uno specifico territorio”.

Ed allora calpestando le vigne della valle del fiume Magra (Lunigiana), accanto ai vitigni provenienti nei secoli da altre zone come Vermentino, Pinot Nero, Merlot, Sangiovese, Canaiolo, Syrah, Sauvignon Blanc, Chardonnay troviamo Vermentino Nero, Pollera, Groppello, Durella, Albarola, Barsaglina o Massaretta, Uva Merla, Pinzamosca, Caloria, Verdella.

I primi, ormai vitigni locali, arrivati nei secoli tramite le vie commerciali e religiose (Via del Sale e Via Francigena); i secondi nati, coltivati, alcuni mutazioni di altri, in buona parte trovabili solo in questi territori costituendo un delicato scrigno di biodiversità.

Dobbiamo alla tenacia e alla dedizione dei produttori locali, che portano avanti produzioni definite “difficili” dal punto di vista commerciale, se ancora è mantenuta viva la tradizione dei “veramente autoctoni”.

Il Vermentino Nero è presente solo in Toscana, lo troviamo nell’area della Doc Candia e la Doc delle Colline lucchesi. Il vino che si ottiene è ricco si sostanze coloranti, acidi e tannini che lo rendono adatto all’invecchiamento. Al palato risulta fruttato e speziato.

Il Pollera (a volte chiamato al femminile, la Pollera) diffuso in parte anche nella zona delle Cinque Terre. Ne otteniamo un vino rosso di colore scarico ma con profumi di fragola e ciliegia, sorso fresco e piacevole.

L’Uva Merla, una mutazione del Canaiolo, diversissimo da quello del resto della Toscana. Viene vendemmiato verso metà ottobre, il vino ha profumi di piccoli frutti scuri e delicata speziatura, buona struttura e tannini importanti.

La Massaretta di Castagnini

A bacca bianca ricordiamo la Durella, chiamata in Lunigiana Durella Gentile per distinguerla da quella della provincia di Vicenza. Ha buccia spessa e buona acidità, note erbacee e verdi che ne fa un buon candidato per la spumantizzazione.

I vitigni elencati rientrano tra quelli che fanno parte del progetto “vini da vitigni veramente autoctoni” che sta portando avanti l’Azienda Castel del Piano, in località Licciana Nardi (Lunigiana), che insieme agli internazionali divenuti nel tempo vitigni locali come il Pinot Nero, stanno ottenendo risultati di tutto rispetto anche in ambito nazionale.

Dalla Lunigiana alla zona “Apuana” ritroviamo produttori che fanno del Vermentino Nero il loro cavallo di battaglia (Azienda Lorieri, nell’aerale del Candia). Senza dimenticare l’Azienda Castagnini, che negli avamposti marmiferi di Carrara, produce una Massaretta (Barsaglina) di tutto rispetto.

Infine la Garfagnana. Zona completamente diversa, mitigata in questo caso dalla valle del fiume Serchio e con un isolamento geografico dovuto in parte dalla morfologia della zona e in parte dalla scarsità delle risorse storicamente offerte dal territorio.

I vitigni veramente autoctoni sembrano ispirarsi nei nomi delle zone del territorio: Barghigiana, Burian Banco, Canina Bianca, Carraresa, della Borra, Farinella, Grassella, Fredianella Bianca, Lombardesca, Nicola Nera, Sillicana Bianca, Verdecchio.

Il Vermentino Nero di Lorieri

La Barghigiana è stata individuata per la prima vota nel 1993 da ricercatori dell’università di Pisa. Ha un grappolo grosso e compatto e la troviamo solo in questo piccolo areale delimitato dai confini del Comune di Barga.

Il Burian Bianco è stato ritrovato recentemente in alcuni vigneti dove viene chiamato anche Buriana. Ha buccia spessa e a completa maturazione assume un bel colore aranciato.

La Barsaglina, a dimostrazione che seguendo i crinali di queste montagne, le distanze tra Apuane e Garfagnana si accorciano notevolmente, la troviamo diffusa. Il vitigno ha probabilmente origine nella zona di Massa-Carrara (chiamata Massaretta). Buccia nero violacea e pruinosa, ci regala vini alcolici, ricchi di materia colorante e con profumi vinosi e fruttati.

Con alcuni di questi vitigni (Barsaglina in primis) c’è, tra i produttori della valle del fiume Serchio, chi ha voglia di “sperimentare”.

Barsaglina anche in versione spumante

Mi riferisco all’Azienda I Gigli di Angelo Bertacchini.

Siamo sopra Borgo a Mozzano, nella frazione Oneta. Qui Angelo alleva e vinifica solo Barsaglina in purezza in tre declinazioni diverse: fermo, rosé ancestrale e un metodo classico che riposa 36 mesi sui lieviti.

Concludendo: nel parlare dei vitigni veramente autoctoni, patrimonio e ricchezza di queste terre, difficilmente possiamo distaccarli dalla ferrea e determinata volontà delle persone che, sebbene con dialetti diversi, esprimono il loro indissolubile attaccamento ai propri territori e ai nobilissimi frutti che in essi producono.

Elisa Paolini