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Focus sulle aziende familiari del settore vitivinicolo

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Premessa

Con il presente rapporto si vuole tracciare una panoramica delle aziende con un fatturato superiore ai dieci milioni di euro che operano nel settore vitivinicolo effettuando, quando possibile, comparazioni con i dati della popolazione nazionale di medie e grandi aziende familiari dell’Osservatorio AUB.

In particolare, il contributo di questo lavoro è duplice. In primo luogo, intende esaminare i tratti distintivi delle aziende vitivinicole indagando il ruolo delle famiglie proprietarie nella gestione e nello sviluppo di questa importante realtà imprenditoriale. In secondo luogo, vuole approfondire l’andamento delle performance del settore durante tutto l’ultimo decennio, anche in termini di export, con particolare attenzione alle strategie attuate durante la crisi economica del 2008.

Una panoramica sul settore vitivinicolo

La produzione vitivinicola italiana rappresenta una delle eccellenze del made in Italy più apprezzate all’estero e, non a caso, nel 2010 l’Italia conferma il primato nella produzione di vino su scala globale con una quota del 18,1% (per un valore di 8,3 miliardi di euro), di cui circa la metà destinata oltre i confini nazionali.

Dalle strutture proprietarie delle 174 aziende vitivinicole con fatturato superiore a 10 milioni di euro emerge come il 54% delle aziende è direttamente controllato da una famiglia proprietaria e la quasi totalità di quelle non familiari (il 42,5%) sono cooperative o consorzi. L’incidenza delle aziende familiari è in linea con quella delle medie e grandi aziende familiari dell’Osservatorio AUB (57,1%), anche se inferiore alla media nazionale, ma il dato distintivo, come noto, è dato dall’elevata presenza di società cooperative.

Passando ad analizzare le caratteristiche peculiari delle 94 aziende familiari del settore vitivinicolo, emergono altre importanti differenze rispetto al resto del Paese. In particolare:

  • un’elevata concentrazione di aziende “adulte”: oltre il 56% ha un’età compresa tra 25 e 50 anni (16 punti sopra il dato dell’Osservatorio AUB), lasciando ipotizzare un forte legame con il territorio, la tradizione e il tessuto sociale in cui le imprese operano.
  • oltre la metà delle aziende di piccole dimensioni, con un fatturato compreso tra dieci e venticinque milioni di euro. Di converso, circa il 15% delle aziende ha un fatturato superiore a 50 milioni di euro, evidenziando un’elevata frammentazione del tessuto produttivo. Lo scenario nel contesto italiano è in controtendenza rispetto alle dinamiche in atto nel settore, dove si osserva invece una maggiore e crescente concentrazione di grandi player a livello internazionale.
  • anche la distribuzione geografica non appare uniforme su tutto il territorio nazionale: circa la metà delle aziende è collocata nel nord-est. In queste regioni si trovano, infatti, alcune delle produzioni vinicole fra le più rinomate del Paese.

Aziende di famiglia … guidate da familiari anziani

I risultati emersi dall’analisi dei modelli di leadership e di governo hanno evidenziato come circa tre aziende su quattro abbiano optato per una leadership individuale (contro il 64,5% dell’Osservatorio AUB). Tale dato è ancora più significativo se si considera che le aziende del settore vitivinicolo sono più longeve della media nazionale, e dalla seconda edizione dell’Osservatorio AUB emerge come l’età dell’azienda sia legata ad una maggiore diffusione del modello collegiale. Le aziende del settore vitivinicolo sembrano, dunque, più orientate verso un modello di imprenditorialità individualistico.

La diffusione di tale modello può dipendere anche dal ridotto ricambio generazionale avvenuto nell’intero decennio appena trascorso. Infatti, solo un terzo delle aziende vitivinicole ha realizzato una successione al vertice tra il 2000 e il 2010 (contro il 50% dell’Osservatorio AUB). Di conseguenza, oltre un quarto delle aziende familiari analizzate (il 26,6%) è guidato oggi da un leader con più di 70 anni, e tale percentuale è superiore a quella riscontrata per l’intero Osservatorio AUB (pari al 18,6%). Tali dati inducono a ritenere che molte aziende familiari del settore vitivinicolo dovranno affrontare il passaggio generazionale nei prossimi anni, imponendo di prestare particolare attenzione alla delicata fase di transizione da affrontare.

Passando ad analizzare la familiarità dei modelli di governo, si può notare come nella leadership individuale il peso dei leader familiari sia aumentato nel corso dell’ultimo decennio (dal 68,4% nel 2000 all’84% nel 2010), arrivando così ad essere in linea con quello dell’Osservatorio AUB. Di converso, nello stesso periodo di tempo, si assiste ad una apertura verso l’esterno nei modelli di leadership collegiale, in parte dovuta anche alla scelta di alcune aziende guidate da un leader esterno alla famiglia di passare ad un modello di leadership collegiale.

Ponendo l’attenzione sui limiti del modello di governance di tali aziende, alcuni studi sul settore vitivinicolo hanno evidenziato il rischio di avere una proprietà che conceda poco spazio a membri esterni alla famiglia. A questo proposito, l’analisi del Consiglio di Amministrazione (CdA) sembra restituire qualche spunto interessante: nel 2010 circa il 45% dei CdA analizzati è costituito esclusivamente da consiglieri familiari, un dato superiore di quasi 15 punti rispetto alla media AUB, ma allo stesso tempo inferiore di oltre 7 punti rispetto al dato rilevato nel 2006. Tale dinamica, se da una parte evidenzia una maggiore apertura in corso, dall’altra indica come il peso delle aziende governate da una CdA interamente composto da membri della famiglia di controllo appare ancora decisamente elevato. La limitata diffusione di consiglieri esterni alla famiglia potrebbe costituire un limite per il rinnovamento delle strategie che molte aziende dovranno affrontare con il cambiamento delle dinamiche competitive in atto a livello internazionale.

Le performance economico-finanziarie

Nel decennio 2001–2010 le aziende familiari del settore vitivinicolo hanno registrato un aumento del fatturato pari al 73%, mostrando un trend di crescita in linea con quello dell’Osservatorio AUB. Tale crescita è in buona misura riconducibile alla quota di fatturato realizzata all’estero, che ha permesso di mitigare gli effetti negativi della crisi economica e di non subire un brusco calo del fatturato nel biennio 2008-09 come avvenuto nel resto del Paese.

L’analisi delle performance ha permesso di evidenziare come il rapporto tra utile netto e fatturato abbia raggiunto nel 2008 il valore più basso del decennio considerato. Tuttavia, il dato sembra dovuto più ad alcune partite straordinarie (accantonamenti, svalutazioni, ecc.) che hanno impattato negativamente sui risultati dell’esercizio che non ad un improvviso calo del reddito netto. Infatti, nel 2008 si riscontra una dinamica del rapporto Ebitda/Fatturato inferiore di soli 0,5 punti rispetto all’anno precedente e una bassa percentuale di aziende con Ebitda negativo (l’1% circa).

Altre analisi hanno permesso di osservare un cambiamento nella struttura patrimoniale delle aziende familiari: se fino al 2007 la leva finanziaria era uno strumento molto utilizzato per sostenere la crescita aziendale, a partire dal 2008 si è registrata una forte riduzione del rapporto di indebitamento (pari a circa 2,7 punti nel triennio 2008-10). Tale fenomeno è dovuto ad operazioni di capitalizzazione effettuate dalle famiglie proprietarie, come evidenziato dal forte incremento dei mezzi propri. In particolare, è possibile osservare nel solo anno 2008 un incremento di quasi il 40% del patrimonio netto, ottenuto principalmente attraverso l’aumento di riserve (ovvero la mancata distribuzione di dividendi), contribuendo a generare un calo di oltre 2 punti nella redditività del capitale proprio (ROE).

In sintesi, se da una parte le aziende familiari del settore vitivinicolo sembrano aver sofferto in maniera piuttosto marginale della contrazione dei consumi che ha investito gran parte delle aziende italiane, dall’altra parte l’analisi dei dati di bilancio mostra come, già a partire dal 2008, tali aziende abbiano “messo in campo” operazioni volte a mitigare gli effetti negativi della crisi economica mondiale (effettuando accantonamenti, svalutazioni e rinunciando alla distribuzione dei dividendi).

Il successo del “Made in Italy”

Tra i fattori che hanno contribuito al raggiungimento dei risultati reddituali ottenuti dalle aziende familiari, anche durante l’ultimo biennio, vi è sicuramente la forte vocazione all’export del settore vitivinicolo: circa la metà della produzione realizzata dalle aziende familiari è destinata ai mercati esteri, favorita dalla tradizionale qualità riconosciuta ai prodotti italiani e alla loro brand awarness.

Analizzando con maggior dettaglio tali aziende sulla base della quota di export realizzata nell’anno 2010, si evidenzia una relazione diretta tra livello di internazionalizzazione e performance: a realtà produttive che esportano oltre il 70% del proprio fatturato corrisponde una redditività del capitale investito (ROI) e del capitale proprio (ROE) addirittura quadrupla rispetto alle aziende con una quota di export inferiore al 20%. Anche l’analisi dei trend di crescita ha permesso di evidenziare per il 2010 la medesima relazione: a livelli maggiori di export corrispondono tassi di crescita più elevati.

In sintesi, le evidenze sembrano confermare come un maggiore grado d’internazionalizzazione abbia permesso alle aziende vitivinicole di percepire con minore intensità gli effetti della crisi economica mondiale: se fino al 2007 il mercato domestico è stato il motore della crescita, la flessione dei consumi registrata in Italia è stata compensata da un netta crescita dell’export, sia nei mercati dell’Unione Europea sia in quello statunitense, dove la wine culture per le produzioni di alta qualità sta acquistando sempre maggior rilievo.

Considerazioni finali

Dalle evidenze sin qui raccolte sembrerebbe emergere una rappresentazione abbastanza articolata del settore vitivinicolo, con una presenza importante di aziende a controllo familiare, ma anche di cooperative e consorzi. La presenza di un modello imprenditoriale sostanzialmente bipartito tra queste due forme di proprietà è dovuta all’assenza (o quasi) di coalizioni e filiali di multinazionali, tipicamente diffuse in aziende di maggiori dimensioni. Il quadro delineato sembra infatti restituire, almeno per l’Italia, un settore caratterizzato in gran parte da aziende di dimensioni ridotte.

Nonostante un tessuto produttivo abbastanza frammentato, l’Italia si presenta come il maggior produttore di vino al mondo, con una quota destinata ai mercati esteri vicina al 50%. Un fattore dominante (e premiante) in termini di performance è rappresentato proprio dall’export, poiché le aziende con un maggior livello di internazionalizzazione sono quelle che hanno conseguito i maggiori tassi di crescita e di redditività nell’ultimo biennio. Peraltro, è proprio la maggiore propensione all’export delle aziende vitivinicole che ha permesso di controbilanciare la flessione dei consumi registrata sul mercato interno a partire dal 2007.

Sul versante dei modelli di governance, dal rapporto sembra emergere un modello imprenditoriale più individualistico, anche se nell’ultimo decennio si è osservata una maggiore apertura verso modelli collegiali. Alla luce delle elevate performance registrate anche durante la crisi economica, la maggiore rapidità decisionale che tipicamente caratterizza i modelli di leadership individuale sembra aver rappresentato un punto di forza per tali aziende.

Inoltre, il modello imprenditoriale molto familiare presente nelle aziende vitivinicole sembra registrare negli ultimi anni una maggiore apertura verso l’esterno nei casi di leadership collegiale. Se non è chiaro come mai tale apertura sia riscontrabile soltanto nei modelli collegiali, è invece evidente come tutte le aziende del settore vitivinicolo dovranno affrontare alcune importanti sfide nei prossimi anni: da un lato è possibile identificare la “questione” del ricambio generazionale, data l’elevata presenza di leader anziani ancora al comando, e dall’altro lato la necessità di crescere, anche attraverso operazioni di acquisizione, per “diventare grandi” e rispondere in maniera efficace ai processi di consolidamento in atto nel settore, nonché alla crescente competizione internazionale.

Osservatorio AIdAF-Unicredit-Bocconi (AUB)

su tutte le aziende familiari italiane

di medie e grandi dimensioni[1]

 

[1] L’Osservatorio AUB, promosso da AIdAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), dal gruppo UniCredit, dalla Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari dell’Università Bocconi, e dalla Camera di Commercio di Milano prosegue il monitoraggio – avviato con la prima edizione 2009 – delle strutture, delle dinamiche e delle performance di tutte le aziende familiari Italiane con ricavi superiori a 50 milioni di Euro. Giunto alla terza rilevazione annuale, l’Osservatorio AUB si pone l’obiettivo di verificare alcune evidenze emerse nelle scorse edizioni, cercando al contempo di fornire un quadro interpretativo sempre più articolato sulla realtà delle medie e grandi aziende familiari del nostro Paese.