È noto che già dall’antichità i greci facessero uso di misture di vino ed altri alimenti o bevande durante i “misteri eleusini”, riti religiosi iniziatici legati al culto di Demetra e Persefone. Il “ciceone” (che tradotto dal greco antico significa rimescolare) era la bevanda rituale che gli iniziati digiuni potevano bere e a cui venivano mischiate menta e segale.
Vi erano nella Grecia antica vari “riti misterici” riservati ai soli iniziati, le cui procedure erano tramandate strettamente tra sacerdoti o sacerdotesse del culto; uno dei più noti è quello di Dioniso, il cui culto e riti corrisponderanno a quelli romani in onore di Bacco. Elemento tipico del culto di Dioniso è la sfrenatezza che coglieva i partecipanti alle cerimonie per mezzo di balli, canti e del vino.
Le menadi o ninfe e i satiri che componevano i cortei propiziatori, portavano attorno alle membra corone o cinture di vite ed edera. L’edera ha proprietà allucinogene e in questi riti veniva immersa nel vino posto in crateri, ovvero coppe molto ampie e dai bordi non troppo alti, a cui venivano aggiunti anche miele ed acqua.
Lo stato di invasamento o estasi provocato dalla bevanda e dall’esaltazione dei balli e dei canti, aveva lo scopo di liberare la vera natura umana e rigenerarla, purificandola, ricordando le vicende mitologiche di Dioniso che rappresentava per i greci la frenetica corrente di vita che tutto pervade. In questi riti venivano usate maschere che riproducevano il volto del dio; le stesse maschere erano esposte anche durante le feste della vendemmia.
Andando ancora più a ritroso nel tempo, troviamo che nel libro della Genesi si narra di Noè come primo uomo che ha piantato una vite; uno dei simboli del popolo d’Israele nell’Antico Testamento sono appunto la vite e il vigneto.
Il vino ricopre un’importanza prestigiosa nella religione ebraica: nella Bibbia il vino è considerato il simbolo di tutti i doni provenienti da Dio, è la bevanda della vita che sa donare consolazione e gioia e sa curare la sofferenza dell’uomo. Per questo motivo nei banchetti non poteva mai mancare il calice del vino e con esso si pronunciava poi una preghiera di ringraziamento a Dio. Da questo testo sacro traiamo molte testimonianze relative alla distribuzione della viticoltura nelle terre confinanti la Palestina.
Il racconto dell’origine della viticoltura è presente già nel Libro della Genesi, che ci mostra la diffusione della viticoltura in Egitto durante l’esilio degli Israeliti sebbene gli studiosi abbiano scoperto la giara di vino più antica, risalente al 5.100 a.C., in un villaggio neolitico nella parte settentrionale dell’Iran, quindi molto prima dei fatti attestati nella Bibbia (la stessa vitis vinifera, la pianta da cui ha origine la vite, è presente in Cina fin dal 7.000 a.C. circa).
Anche nel Cristianesimo il vino è di fondamentale importanza, soprattutto nel rito sacro della messa, durante la benedizione, in cui si ricorda l’ultima cena di Gesù. Qui il vino assume un ruolo unico, in quanto esso diventa il sangue di Cristo; per questo il vino viene identificato nel rito cristiano come “bevanda di salvezza”.
Il vino ha un ruolo fondamentale anche nel rito della festività della Pasqua ebraica, la Pesah, che ricorda la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto. Le celebrazioni coinvolgono tutto il nucleo familiare: la tavola è ricca di cibi simbolici e vino, intorno a cui si celebra un vero e proprio rito. In questa circostanza il ruolo del vino è determinante e viene officiato attraverso 4 bicchieri in ricordo delle 4 espressioni di salvezza con cui le scritture promettono la liberazione.
Ovviamente il vino utilizzato deve rispettare le norme kosher, si preferisce vino rosso non pastorizzato, mentre il succo d’uva è permesso per gli astemi e i bambini. Il vino andrebbe bevuto senza alcuna interruzione, tutto d’un fiato, nel caso in cui ciò non fosse possibile la prima sorsata dovrebbe corrispondere almeno alla metà del contenuto.
Durante tutti i festeggiamenti della Pesah, è di regola che nessuno si versi il vino da solo ma che lo si faccia vicendevolmente, un po’ per spirito di compartecipazione ma soprattutto per esorcizzare il demone della schiavitù durante la quale nessuno aveva chi lo servisse.
L’altra grande religione monoteista, l’Islam, vieta del tutto l’uso di alcol e quindi il consumo di vino in quanto proprio l’effetto di stordimento che può derivare dall’assunzione della bevanda, allontana il fedele dalla concentrazione necessaria per pregare.
Ci sono altre religioni in cui il vino ha giocato un ruolo simbolico ma l’uso ne è stato per lo più vietato o ostacolato e comunque relegato a momenti di ufficio rituale. Nel buddhismo l’uso di alcol è assolutamente proibito e solo nel buddhismo tantrico l’uso è concesso in virtù dell’effetto di ebbrezza che secondo questa interpretazione aprirebbe la via all’illuminazione; nell’induismo bere vino era peccato mortale, va detto però che in queste due grandi religioni indocinesi le bevande alcoliche che noi oggi chiamiamo vino erano più spesso succhi derivati dalla fermentazione di altri frutti o da vegetali.
Oggi anche in India si produce vino che non incontra un grande favore nel pubblico locale, più per ragioni di abitudine ad un gusto non usuale nella propria cultura gastronomica, che per motivi strettamente religiosi.
Nel confucianesimo il vino è utilizzato nei rituali tradizionali di funerali e matrimoni.
Negli ultimi anni si è fatta avanti l’idea che si possa produrre del vino senza alcol per venire incontro ai gusti e alle esigenze di culture in cui le bevande alcoliche sono proibite, ma ci chiediamo a questo proposito se questo possa favorire l’apprezzamento dei vini nel mondo o piuttosto trasmettere il messaggio fuorviante che un vino è tale e di qualità anche quando esula dagli standard di alcolicità. Un argomento che merita approfondimenti a parte.
Alice Romiti