Chi Vi scrive ha avuto l’opportunità, il piacere e l’onore di visitare per tre giorni le terre del Primitivo di Manduria, ospite dell’omonimo Consorzio. E’ stato un viaggio provvido di suggestioni, approfondimenti, e gratificazioni. Come tutte le vere esperienze del genere, mi ha soprattutto insegnato qualcosa

Una premessa generale: il viaggio in sé, come esperienza di formazione, richiede una bella dose di umiltà. Occorre infatti essere capaci di aprirsi, di rinunciare ai propri parametri di riferimento, ai codici preconcetti e consolidati con i quali ci si rapporta alla realtà. Questo non è filosofia o antropologia spicciola, ma è tanto più importante parlando di vino, e, quindi, di approccio al territorio che permea le caratteristiche dei vini, influisce sulle scelte dei contadini e dei vinificatori, plasma, con la storia e le tradizioni, il profilo organolettico dei prodotti tipici.

Appunto, il territorio: in Toscana il sottoscritto è abituato a un’orizzonte dove sempre compare una collina, il profilo lontano di una catena montuosa, una quinta scenografica che definisce una specificità che non è solo geografica ma anche, conseguentemente, culturale. In Puglia, in particolare nel Salento, al contrario, le coordinate sono quelle dell’immensità, e anche i lontani contrafforti delle Murge, intravisti dal balcone di una splendida masseria seicentesca visitata grazie alla cortesia della famiglia Varvaglione dell’azienda Vigne & Vini, appaiono monumentali.

Il cielo dall’azzurro intensissimo pare un’immensa cupola che abbraccia ma non opprime e rende i colori più netti: il suolo bruno rossastro delle olivete pluricentenarie che sottolinea la maestosità di questi monumenti botanici; i fiori di stagione che punteggiano di un giallo e un viola impuniti i bordi delle strade, e ne scandiscono le lunghe prospettive, rettilinei lunghi chilometri che si perdono nella diffusa luminosità; ancora, il bianco abbacinante di antiche masserie splendidamente restaurate. L’aria umida e salina ha il respiro del mare anche quando questo non è in vista, e non è difficile comprendere come questa terra abbia sempre accolto, ospitale, influenze culturali, religiose, commerciali, dall’Oriente e dal Mediterraneo in generale, maturando e caratterizzandosi come meno provinciale (per forza) di tante altre realtà e comprensori più blasonati. Influenze che si rispecchiano anche nell’eleganza moresca, a volte floreale in modo quasi civettuolo, dei palazzotti dei centri storici, strategicamente situati sulla cima dei dolci mammelloni che misurano il paesaggio. Può sembrare un plateale spreco di iperboli forzate: visitate il Salento, e poi ne parliamo…

Paesaggio che è peraltro scandito dalla teoria dei muri a secco costruiti, e mantenuti, con pazienza certosina, che limitano migliaia di appezzamenti curati con passione e pazienza centenaria. Da questo punto di vista la parcellizzazione del territorio è affatto particolare: sussiste la dicotomia tra grandi proprietà ancora deputate alla produzione di grandi quantità di vino per lo più da taglio; e numerosissimi coltivatori diretti custodi della tradizione, che fanno riferimento alle tante, grandi e organizzate cantine cooperative. Le quali, forti del loro peso complessivo, si sono rese protagoniste di un lungimirante cammino nella direzione del progresso qualitativo e della definizione dell’identità del Primitivo: con l’assistenza agronomica ai soci e con il miglioramento della tecnologia di cantina, certo; ma anche, ad esempio, con il riconoscimento di un prezzo al chilo maggiore per l’uva proveniente dalle antiche, splendide, vigne ad alberello, al fine di preservarle; e con aggressive politiche di marketing volte a una orgogliosa e consapevole valorizzazione della propria tradizione. Tutti gli elementi della filiera perseguono adesso con consapevolezza e convinzione questa impostazione, e non si fanno intimidire dalle sfide del mercato globale.

Anche la composizione del Consorzio rispecchia questo schema tripartito: piccoli coltivatori, in grande quantità (uno anche in qualità di Presidente dell’associazione); aziende private vinificatrici, anche di non piccole dimensioni; e le realtà cooperative. Chiaramente non è facile contemperare le esigenze e le aspirazioni di queste diverse componenti. E non si può tacere come vi siano alcune aziende recentemente protagoniste di un buon successo di critica che non hanno ancora aderito al Consorzio. Pure, la direzione sopra descritta appare quella giusta, e tra tutti i soggetti attivi si nota comunque una comunanza di intenti, in momenti non sospetti addirittura una vera amicizia, quanto mai singolari in un mondo diviso come quello del vino italiano, e che possono costituire una bella spinta per i traguardi futuri.

Territorio e tradizione, influenze culturali che caratterizzano i vini: perché mai, in un contesto così multiforme e stimolante, il Primitivo dovrebbe corrispondere all’immagine stereotipata che se ne ha, di vino (quasi) solo polposo e iper fruttato, alcolico, grasso, colorato, appiattito su un’immagine aromatica “cioccolatosa” e “marmellatosa”? E invece quante sfumature, che intrigante balsamicità, che profondità minerale, quale sorprendente equilibrio e agilità di beva, quale appagante capacità di accompagnare la robusta cucina pugliese, con un’acidità inattesa ma sempre gradevolmente presente, a dispetto delle gradazioni alcoliche importanti. Quindi, tra l’altro, anche il potenziale per riposare qualche anno in cantina, anche se le caratteristiche del vitigno lo rendono già appagante in gioventù. E che varietà di stili di vinificazione, dalla ricerca dell’immediatezza del frutto, a surmaturazioni più “tradizionali” ma comunque affascinanti in termini di complessità aromatica.

E’ un equilibrio delicato da conseguire, che richiede per dispiegarsi ai massimi livelli condizioni climatiche perfette, e in particolare l’assenza di pioggia nell’imminenza del periodo vendemmiale: le bucce sottili del Primitivo non sopporterebbero un acino che si gonfia di acqua. La grande varietà di stili e di risultati organolettici (ne parliamo più in dettaglio a parte), potrà essere più ancora esaltata quando i produttori impareranno a valorizzare le differenze di terroir (ad esempio la maggiore mineralità conferita dai vigneti nelle immediate vicinanze della costa, come giurano tutti i produttori): ma già adesso si apprezza più di una differenza di sfumature.

E non a caso, i presenti disciplinari si adattano a diverse “filosofie” produttive: un’Indicazione Geografica dalle rese più allegre, potenzialmente più adatta alle etichette più beverine; una tipologia Riserva che riconosce gli sforzi di alcuni produttori di attingere a una maggiore struttura tannica per conseguire maggiore longevità; e infine il tradizionale Primitivo Dolce Naturale, assurto ai fasti della DOCG, così contribuendo in parte alla rinnovata attenzione per il vitigno: potenzialmente perfetto vino “da cioccolato”, deve ancora guadagnare sul campo il credito riconosciutogli.

Riccardo Margheri