Prolusione, ovvero riflessioni ad alta voce del Prof. Scaramuzzi

Già dal titolo provocatorio della prolusione “Un grande errore: demolire l’agricoltura” si capisce che questa volta il Prof. Scaramuzzi, parlando non più come voce ufficiale degli Accademici ma a titolo personale, non ha alcuna intenzione di celarsi dietro una diplomatica sfumatura dei concetti.

Che l’agricoltura sia a rischio di estinzione lo si evince chiaramente dal numero di addetti, passato dal 50% della popolazione attiva nel 1945 al 3,6% attuale. E ciò è avvenuto nonostante un processo di “agrarizzazione” delle attività delle aziende, che hanno avuto libertà di svolgere anche operazioni di commercio, artigianato, turismo, servizi.

Il Prof. Scaramuzzi ricorda alcuni esempi delle più pesanti “disattenzioni” di cui è stata oggetto l’agricoltura.

Le istanze ambientaliste, pur sacrosante, sono spesso state considerate prioritarie anche a costo di abbandonare cure importanti come la regimazione delle acque, la difesa dalle erosioni della terra, le razionali sistemazioni dei campi.

La perdita di terreni coltivabili in Italia è pari a 100 ettari al giorno, mentre nell’intero pianeta si raccomanda un’attenta conservazione delle terre da coltivazione.

Sul  “paesaggio agricolo”, tema che verrà ripreso dall’ evento  “La grande bellezza del paesaggio italiano” il 15 settembre all’Expo di Milano, si è messo in atto un sistema di protezione ingiustificato , con normative che prevedono interventi pianificatori verticistici, imposti con direttive vincolanti, mirate a dettare se, dove, cosa e come innovare le coltivazioni, anziché riservare queste protezioni al solo impegno di “conservazione” della destinazione d’uso dei terreni. L’agricoltore, piccolo o grande che sia, è un imprenditore al quale non si può negare il diritto di libera imprenditorialità competitiva ed il paesaggio non si può imporre a prescindere dalla redditività delle colture.

Un altro grave pericolo per l’agricoltura sono le contraffazioni e le frodi, comprese anche le imitazioni dei prodotti con nomi  “italian sounding”. Ma qui emerge un’altra grave anomalia del nostro sistema. In Italia produciamo meno di quanto esportiamo, (basta dare uno sguardo al settore oleario per capire la dimensione del problema. Ndr). Il “diritto al cibo” proclamato giustamente dalla “Carta di Milano” dovrebbe essere strettamente e concretamente legato all’enunciazione del “dovere di produrlo”. Invece non tutti gli alimenti elaborati dalle nostre filiere alimentari specificano in etichetta l’origine territoriale dei prodotti usati.

Le tecnologie industriali, per quanto brevettate, possono essere imitate fino ad organizzare, in altri paesi , proprie industrie di trasformazione atte ad esportare prodotti elaborati a prezzi fortemente concorrenziali. L’origine di un prodotto agricolo primario costituisce allora un unicum non de localizzabile cosicché la sopravvivenza dell’agricoltura italiana dipenderà dall’etichettatura di tutti i prodotti alimentari con l’indicazione del  territorio d’origine. Non giovano le libere importazioni di prodotti primari a prezzi competitivi, importazioni che possono essere utili alle nostre imprese alimentari, ma contribuiscono alla demolizione della nostra agricoltura. C’è necessità di una regolamentazione, ma per ora tutto è fermo in una troppo tranquilla indifferenza.

Dobbiamo prendere atto di una situazione geopolitica molto delicata, con guerre sempre più vicine ed un paese come la Cina che attua politiche di espansione produttive e commerciali avvalendosi del basso costo della propria mano d’opera e non rispettando né brevetti né regole mondiali sul commercio. E c’è poi una situazione interna italiana molto instabile, dove i governi non hanno la possibilità di realizzare i propri programmi.

Non ci sarebbe bisogno di provvedimenti assistenzialistici, né di aumentare il numero delle aziende agricole, ma solo  di incrementare la produttività del lavoro, valorizzando prodotti innovativi e competitivi anche per qualità.

Il Professore è profondamente convinto delle potenzialità della ricerca scientifica universale e non vede di buon occhio chi la vuole arrestare preferendo affidarsi al “sapere dei contadini”.

Il quadro descritto dai media con immagini folcloristiche di un mondo agricolo felice, le tavole imbandite, i cuochi che illustrano i cibi tradizionali, i sommelier che presentano vini eccellenti, non rappresenta l’attuale stato generale dell’agricoltura.

Nonostante questo panorama quasi catastrofico, il Prof. Scaramuzzi si dichiara ottimista fidando nelle capacità mai dome degli imprenditori agricoli, che dovranno essere più che mai uniti ed univoci, nella consapevolezza delle loro ragioni, cercando di ridimensionare il numero delle troppe disattenzioni altrui ed il peso di una burocrazia elefantiaca che le Amministrazioni pubbliche continuano a far crescere.

Gli agricoltori devono ritrovare la loro compattezza per far fronte al plurimo “Grande Errore” che sta demolendo i fondamentali principi imprenditoriali.