Vino” ottenuto dalla fermentazione di frutta come lamponi o ribes, la scritta “Il vino nuoce gravemente alla salute” sulle etichette come per le sigarette e la dealcolizzazione, ovvero l’aggiunta di acqua al prodotto della fermentazione dell’uva, unico vero succo che grazie a pratiche millenarie di coltivazione e lavorazione frutta all’Italia un primato mondiale nell’eccellenza di questo prodotto.

Sono le proposte sbalorditive che verranno discusse nuovamente il 25 e 26 maggio tra Consiglio e Parlamento europeo. I viticoltori italiani temono che la nuova Pac, la Politica agricola comune che entrerà in vigore da gennaio 2023 (lattuale è infatti prorogata i sino alla fine del 2022), apra ai vini parzialmente senza alcol anche tra quelli Dop e Igp.

Annacquare il vino

Una pratica enologica che altera la natura stessa del prodotto che storicamente e tradizionalmente è solo quello interamente ottenuto dalluva. “Ma che ce frega, ma che c’emporta, se l’oste ar vino c’ha messo l’acqua…”, cantava Gabriella Ferri nella celebre “La società dei magnaccioni” nel 1970, ma in questo caso il fatto è grave ed allarmante e non ha assolutamente niente di goliardico.

Non tarda ad arrivare infatti il grido di allarme delle associazioni di categoria come Coldiretti e dei produttori stessi. Il Presidente di Federvini, Sandro Boscaini, interviene per fare chiarezza sulla situazione che sembra rassicurare sul fatto che la normativa europea lascerebbe comunque margine decisionale in merito alla dealcolazione, alla legislazione vitivnicola, per cui ci sarebbe il rischio di vedere delle DO e IGT dealcolate solo a patto che i produttori accettassero di modificare i propri disciplinari. Questo parametro legislativo europeo, quindi, garantirebbe secondo Boscaini, i produttori e li confermerebbe custodi delle caratteristiche della propria denominazione.

Si lavora in vigna

“In ogni caso – sottolinea il Parlamentare europeo De Castro alla base di qualunque decisione e futura norma in materia, le informazioni riportate sulle etichette dovranno essere chiare per tutti i consumatori, dando loro la possibilità di compiere scelte di acquisto pienamente informate anche in merito alle pratiche enologiche eventualmente utilizzate per consentire l’estrazione di alcol, soprattutto nel caso in cui questo avvenga tramite l’aggiunta di acqua”, confermando quindi che resterebbe tutto nelle mani dei produttori e soprattuto dei disciplinari, senza nessun rischio di mettere in crisi l’identità del vino italiano ed europeo.

Ma il Presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, incalza: «È solo lultimo degli inganni autorizzati dallUnione europea, che già consente laggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa per aumentare la gradazione del vino mentre lo zuccheraggio è sempre stato vietato in quelli del Mediterraneo e in Italia, che ha combattuto una battaglia per impedire un trucco di cantina” e affermare la definizione di vino quale prodotto interamente ottenuto dalluva». Con lui si schierano numerose associazioni e produttori.

Sulla stessa linea di difesa dell’eccellenza vitivinicola italiana, il Ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli durante il suo intervento in audizione al Senato in Commissione Politiche dellUE, sulle prospettive del settore del vino nellambito del negoziato sulla riforma della PAC 2021-2027: «Ciascuno può produrre quello che vuole, basta che non lo chiamino vino. La posizione del nostro Paese in merito alla proposta di dealcolazione del vino è chiara e netta, e siamo preoccupati dalle posizioni di alcuni paesi che dovrebbero difendere con noi le caratteristiche pregiate delle produzioni vitivinicole Europee, mi riferisco in particolare alla Francia, che invece sembra orientata a non opporsi a questo scempio».

Bernard Farges Presidente della Federazione europea dei vini a denominazione di origine, e produttore di Bordeaux ha invece un’opinione aperta e possibilista: «Ad oggi non disponiamo di pratiche enologiche che ci permettano di dealcolizzare parzialmente i nostri vini mantenendone intatte le proprietà organolettiche. Ma potrebbe essere possibile in pochi anni e sarebbe un peccato avere un freno normativo che non permetta alle denominazioni di evolvere, trovare nuovi sbocchi commerciali e attrarre nuovi consumatori. La proposta europea ha trovato il sostegno di numerosi Stati membri perché si guarda con occhio opportunista verso la possibilità di crescere ad esempio nel mercato dei Paesi Arabi, il primo tra i fiorenti mercati che non consumano bevande alcoliche. È importante ricordare che la denominazione deve e può mantenere il controllo delle sue specifiche».

In pratica è il consorzio che attribuisce letichetta Dop o Igp a stabilire le regole e non la Ue. Inoltre c’è sempre lo spazio della normativa nazionale: Italia e Spagna, ad esempio, non consentono che lo zucchero sia usato per aumentare la gradazione alcolica del vino, pratica invece ammessa in altri Paesi Ue.

Per Fiesa Confesercenti Modena questa proposta è un cavallo di Troia che mina alla radice le nostre produzioni di eccellenza. Della stessa opinione il produttore Mariani: «Il vino è un prodotto fortemente identitario e culturale e una componente fondamentale della dieta mediterranea: è un alimento che accompagna spesso i nostri piatti, esaltandone i sapori, e che assunto in quantità moderata è utile per la salute. Come associazione ci opporremo con forza a questa ipotesi che punta a snaturare un prodotto che vanta secoli di storia e di pratiche enologiche e che favorisce esclusivamente gli interessi di gruppi economici e multinazionali slegate dai nostri territori».

Ad esempio nei paesi UE tranne Spagna e Italia, è ammessa l’aggiunta di zuccheri per aumentare la gradazione alcolica del vino. La dealcolazione consentirebbe a questi paesi che producono vini alterando, grazie alla legge europea che glielo permette, le proprietà del prodotto, di aprirsi un varco nei mercati in cui le bevande alcoliche non sono ammesse. Questo “beneficio” economico quindi sarebbe rivolto e pensato per questi Paesi che non hanno mai prodotto e non producono eccellenze vinicole come l’Italia.

«Noi restiamo convinti che un vino senza alcol non può essere definito tale – precisa Paolo De Castro, coordinatore S&D ComAgri al Parlamento europeo – Per questo il Parlamento si è sempre espresso contro, anche se comprendiamo le opportunità commerciali e d’export che vini a basso tenore alcolico avrebbero in alcuni mercati, anche per fronteggiare la concorrenza di altri prodotti alcol-free, e in tutti quei Paesi dove si consumano solo bevande analcoliche. Va precisato però – specifica l’europarlamentare – che nessuna norma potrà essere imposta ai viticoltori, perché la scelta finale su un’eventuale modifica del proprio prodotto rimarrà nelle loro mani, con i necessari cambiamenti dei rigidi disciplinari interni di produzione».

Michele Satta, storico produttore bolgherese, è decisamente contrario alla prospettiva europea: «Ormai è il male dellepoca che avanza – dice – si va a toccare limmagine del vino deccellenza, una delle più importanti risorse economiche del paese. Sono molto contrario a questa opzione: si vorrebbe accettare unalterazione del vino per ridurre il tasso alcolico? Il problema semmai è altrove. È un discorso molto complesso e importante – e sottolinea – ed ha un senso affrontarlo difendendo la nostra cultura, lespressione di un luogo, di una tradizione, la storia di un vino e dellautore che ci mette il suo nome. Ci deve essere una indignazione forte contro lEuropa in questo senso. Si tratta di dignità. Se abbiamo una cosa da difendere è la nostra tradizione, lautonomia, il prodotto genuino della terra che firmiamo con la nostra faccia».

Non possiamo che essere d’accordo, anzi, possiamo dire che queste parole stigmatizzano in modo molto chiaro una situazione di svantaggio, ancora una volta, per un’eccellenza italiana che tutto il mondo ci invidia: il vino, quello vero, fatto dall’uva, con gradazioni alcoliche non adulterate.

Alice Romiti