Le Piantagioni del caffé: una ricerca appassionata Mi sveglio e come ogni mattina, quasi ad occhi chiusi, raggiungo la macchina del caffè. A volte la vita ti riserva delle brutte sorprese, come la fine delle cialde, ma non bisogna darsi per vinti, quindi, decido stoicamente, di andare al bar vicino a casa, “l’Acqua marina” (così si chiama).

Ritengo il caffè, un cardine della mia giornata, un amico, una terapia, un momento di introspezione gustativa, una sferzata di energia positiva. Credo che nei ristoranti, troppo spesso sia trascurato. Il caffè è l’ultima cosa che si assapora, quindi è la sensazione che resta sulle labbra e nella mente.

Ordino un caffè e due brioches alla nutella, per riprendermi dalla delusione e per affermare la mia determinazione ad avere un inizio giornata come Dio comanda. Mi siedo e sorseggio il caffè, solitamente, non amo prendere il caffè al bar, c’è sempre qualcosa che non torna: senza schiuma, o con schiuma anemica (cioè sotto-estratto), con preponderanti note amare e sicuramente, poco appagante. Questa volta è diverso, il corpo è consistente, morbido, vellutato, con una piena sensazione tattile di rotondità e cremosità (creata, in bocca, dalle componenti oleose e zuccherine). Il corpo è una delle caratteristiche più importanti del caffè e deve avere la perfetta morbidezza e sciropposità.

Visto, che sono sola e mi va di fare due chiacchere, chiedo al proprietario, se hanno cambiato miscela. Il gestore gentilissimo, si chiama Jacopo e mi informa che hanno cambiato fornitore.

Dal momento, che sono molto curiosa e che l’azienda è nella mia città, Livorno, vado a visitarla. Mi accoglie Prunella Meschini, figlia di uno dei due titolari, Enrico Meschini, che insieme all’atro socio Carlaberto Relli, fiorentino, di recente, hanno intrapreso questa avventura. Prunella è una persona solare e molto piacevole, con un grande sorriso.

Respiro un’atmosfera di entusiasmo e annuso aromi inebrianti. Tutto è molto efficiente e pulito. Mi parlano del mondo del caffè, un mondo, fatto di denominazioni di origine, simili a quelle del vino e di Cru. Il caffè non è tutto uguale, si deve scegliere la zona, la piantagione, la particolare varietà botanica e soprattutto considerare il lavoro di raccolta, spolpatura ed essiccazione. Tutto diventa fondamentale per determinare il carattere e l’aroma del caffè. Come per il vino, la provenienza da piantagioni selezionate e controllate, nel processo di raccolta e lavorazione è la garanzia della qualità. Se io volessi, potrei andare a controllare di persona seguendo le indicazioni che trovo sulla confezione (la qual cosa, non mi dispiacerebbe, affatto).

Il prodotto finale può essere monopiantagione, cioè in purezza, oppure proveniente da più piantagioni, la miscela. Tra i monopiantagione, c’è una varietà coltivata nel Sidamo, Etipoia, un altro coltivato nella microconca del Palomar, all’ombra di alberi secolari, oppure nel Brejoes, nella regione meridionale dello stato di Bahia, nella fazenda Lagoa do Morro (vado a preparare le valige).

Nelle combinazioni, frutto dell’incontro di due o più continenti, come India e Brasile (come nel San Luis & Raigode), ma anche Guatemala, El Salvador, Perù, una sorta di pangea gustativa, in cui, si percepisce una notevole complessità aromatica, data proprio dall’incontro di due anime diverse, che insieme compongono una melodia. Non crediate che sia così semplice trovare l’anima gemella, già è difficile trovare il tipo giusto, andare d’accordo è un’impresa.

La sfida del torrefattore è quella di trovare la combinazione ideale che esalti le qualità di ognuno e che crei una perfetta armonia. Un altro prodotto interessante è il decaffeinato ad acqua, 100% arabica. Questo caffè viene decaffeinato attraverso un procedimento che evita l’uso di solventi chimici, preservando oltre che la salute, le qualità organolettiche del prodotto finale.

Per eliminare la caffeina, il caffè crudo, viene sottoposto a bagni di vapore, lavaggio in acqua, filtraggio su letto di carbone ed essiccazione in forno. Il risultato è un caffè dal gusto dolce e delicato. “Per avere un buon caffè, ci vuole un buon caffè, ma con un buon caffè, si riesce anche a fare anche un caffè terribile” mi spiega Enrico Meschini. “Una volta trovato il caffè, che risponda a tutti i requisiti richiesti si deve operare un’attenta torrefazione e in fine chi usa la miscela deve essere in grado di preparare un buon caffè e non è così scontato”. In una minuscola tazza si concentra un mondo, fatto di lavoro, di ricerca, di rispetto per la diversità, di capacità interpretative e di grande attenzione e cura. Restituiteci l’appagamento che dà una tazzina di caffè, la vita è fatta di piccoli, grandi piaceri. Ridateci il caffè.

 

Alessandra Rachini