La domanda è inevitabile: se gli enti preposti deprimono anziché custodire e promuovere il nostro patrimonio
paesaggistico e i nostri vini di qualità, quale futuro si delinea per il settore?
Nelle ultime settimane le proposte avanzate da alcuni consorzi di tutela e da un’amministrazione regionale mostrano una volta di più come la programmazione territoriale e la promozione dei vini e delle zone di produzione italiani risponda più a logiche politiche che alle reali esigenze economiche dei territori.
Piemonte
In questi giorni è in discussione l’accordo di categoria che stabilisce i prezzi di vendita delle uve della vendemmia 2014. Il Consorzio di tutela del Brachetto d’Acqui DOCG ha proposto condizioni svilenti ai viticoltori e ai vignaioli che, oltre ad abbassare le rese per ettaro, dovrebbero destinare gli eventuali esuberi di produzione a diventare mosto parzialmente fermentato (MPF) a servizio della produzione di bevande industriali di scarsa qualità. E non basta, il valore della produzione ad ettaro, già molto basso, verrebbe decurtato di un’ulteriore quota destinata a compensare la svalutazione delle bottiglie delle annate precedenti rimaste invendute e tuttora stoccate nelle cantine delle grandi cooperative della zona. Quindi il reddito da MPF risulterebbe maggiore del reddito da vino a denominazione e si effettuerebbe una riduzione della produzione complessiva del prodotto DOCG per compensare i problemi derivanti da strategie di vendita poco efficaci.
Noi vignaioli indipendenti ci chiediamo: se un consorzio ha per legge come obiettivi primi la tutela e la promozione della denominazione, così facendo chi sta tutelando e cosa sta promuovendo?
Certamente non promuove i vini a denominazione che sono simbolo e immagine dei territori italiani e non tutela i vignaioli, ovvero chi produce quei vini assumendo su di sé i rischi imprenditoriali di tutta la filiera, dalla conduzione del vigneto fino alla commercializzazione delle proprie bottiglie.
Fivi ha fra i suoi scopi statutari l’informazione delle istituzioni sulla realtà specifica del settore vitivinicolo acquisita direttamente dalla voce dei vignaioli, per questo riteniamo necessario sollecitare l’attenzione dei redattori del Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana sui possibili effetti nefasti di determinazioni affrettate e stabilite a tavolino.
Toscana
Il Consiglio Regionale della Toscana ha approvato qualche settimana fa un Piano di Indirizzo Territoriale, che vale anche come Piano Paesaggistico, nel quale i vigneti vengono sacrificati a vantaggio di pascoli e boschi, con indicazioni volte a limitare i nuovi impianti di vigna e a riconvertire superfici vitate esistenti ad altre attività agricole.
La Toscana è sempre stata una regione virtuosa nel rispetto del proprio territorio e ambiente. Grazie a questo approccio, condiviso da politica e imprese, è arrivata ai giorni nostri con un paesaggio fra i più ammirati e incontaminati, sia dal punto di vista ambientale che architettonico. Benché negli ultimi vent’anni tanti vigneti siano stati “razionalizzati” e “modernizzati” grazie al sostegno dato dalla Regione, e talvolta questa razionalizzazione abbia diminuito il fascino di qualche area, quasi tutte le vigne continuano ad avere boschi e oliveti come confinanti. Al contrario pascoli e seminativi stanno scomparendo a causa della grande difficoltà a raggiungere la sostenibilità economica in queste attività. Se si pensa poi che allevamenti bovini biologici/biodinamici sono già stati sacrificati per destinare le superfici alla coltivazione di mais atto alla produzione di biocombustibile, pratica che si sostiene grazie alle robuste sovvenzioni regionali, non è facile comprendere la direzione della politica territoriale.
È nostro parere che la politica possa essere la benvenuta anche nei settori produttivi, purché operi con la necessaria coscienza e comprensione, e soprattutto approfondendo preventivamente i reali effetti delle proprie determinazioni, per modularle in funzione dei tempi e della realtà, seguendo un’evoluzione ragionata al passo con la storia.
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