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Prosecco uber alles

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Non passa giorno che la stampa internazionale di settore non parli di Prosecco, nel bene e nel male

Nel bene, per i numeri incredibili che il vino è riuscito a collezionare in questi ultimi tempi, con vendite in continua crescita e ingresso su piazze sempre più diffuse, nel male perché ogni successo di mercato porta inevitabilmente una reazione contraria della concorrenza.  In realtà è tutto il mondo delle bollicine in gran fermento e sotto il tiro delle multinazionali del beverage analcolico fortemente contrariate dal successo del vino spumante in tutte le sue declinazioni.

E di declinazioni ne stanno venendo fuori tante. In tutte le denominazioni, sono di gran moda gli “Ice”, immediatamente riconoscibili per gli eleganti packaging tutti bianchi, prodotti da case anche molto famose. Dallo Champagne fino ai Cava e i Prosecco,  gli Ice sono gli spumanti adatti ad essere bevuti con il metodo “piscine”, ovvero in grandi bicchieri pieni di ghiaccio a temperatura di freezer.

Poi ci sono sempre più “azzurri”, anch’essi facilmente riconoscibili per la veste di eguale colore. Proprio azzurri, perché da circa un anno è nata la moda del vino bianco di colore azzurro. Ora i sommelier dovranno preoccuparsi di trovare le descrizioni di tonalità oltre che per bianchi, rosati e rossi anche per gli azzurri: azzurro maglia della nazionale, azzurro, maglia della Lazio, azzurro cielo di Poggibonsi, ad esempio.

Ci sono i superclassici prodotti con il metodo della rifermentazione in bottiglia, i metodo ancestrale, e i Martinotti o Charmat come l’Asti e appunto il Prosecco.

Tra tutti gli spumanti è proprio il Prosecco quello che desta maggior interesse e ottiene i migliori successi nelle vendite in tutto il mondo. Questo accade grazie al suo prezzo, molto abbordabile rispetto a quello dello Champagne, ma anche rispetto a quello dei vari Franciacorta, Trento, Oltrepò e, fortunatamente, anche nei confronti dei nuovi spumanti inglesi. Poi grazie anche al modo di bere degli anglosassoni e del mercato internazionale in generale, molto orientato sugli sparkling cocktails.

The Telegraph afferma che “these refreshing prosecco cocktails are perfect for enjoing on warm days (or even chilly ones)”, ammettendo pubblicamente l’alto gradimento di quel mercato per il Prosecco. Notate, per inciso, come gli inglesi non scrivano mai prosecco con la maiuscola iniziale. Come a significare: gradimento, sì, ma non esageriamo.

Tanto interesse genera anche reazioni da parte della concorrenza, soprattutto dalla sponda del mix&fizz analcolico ed ecco apparire le goffe accuse dei dentisti anglosassoni, evidentemente istruiti dai soliti noti, pubblicate dal Daily, i quali accusano il Prosecco di contenere troppo zucchero e rovinare i denti. Conoscendo la dieta e le abitudini alimentari degli abitanti della perfida Albione c’è di che ridere a crepapelle.

Il mondo del Prosecco, viste le dimensioni, è diventato un mondo variegato all’interno del quale si muove effettivamente di tutto, dall’eccellenza (e ne esiste più di una) al vinello leggero e  frizzante dei produttori industriali più disinvolti. L’estensione della DOC e la difficoltà per gli stranieri di orientarsi tra DOC e DOCG, ha inevitabilmente amplificato la forbice della qualità, ma con tutto questo non è detto che al di dentro e anche al di fuori della DOCG non si trovino vini straordinariamente buoni (v. articolo  bit.ly/1zagwgScorrieredelvino.it/degustazioni/san-maman-il-prosecco-piu-alto-del-mondo). I marchi, poi,  si sono moltiplicati e si è assistito al fenomeno delle private label dei supermercati in larga parte inglesi.

Accanto a queste c’è stato l’ingresso di produttori stranieri che hanno cominciato a commercializzare una loro linea di Prosecco, del tutto legale, prodotto in Italia, con uve provenienti dalla zona DOC o DOCG con tanto di certificazione ma con brand non italiano.

Quello che mi ha colpito di più è il Freixenet Prosecco DOC Extra Dry: un grosso marchio dei Cava spagnoli del Penedès, un vino italiano ed il mercato inglese. Un triangolo perfetto! Il vino, dichiara la Freixenet, è stato creato appositamente per il particolare gusto del mercato anglosassone e qui distribuito per la quasi totalità.

Nonostante un caro amico residente a Londra non mi avesse incoraggiato nell’esperimento, ho voluto procedere all’assaggio e ho acquistato da Tesco la bottiglia per 12 sterline. Un prezzo già abbastanza alto per questa tipologia, che di solito si attesta su una media di 6-7 sterline, anche se si trovano bottiglie dal costo superiore alle 18. Per la cronaca l’etichetta ci dice che il reale produttore è il Consorzio Cantine Sociali Marca Trevigiana di Oderzo.

La bottiglia ha un design molto pretenzioso e scintillante con un disegno a losanghe stampate che riflettono il colore del vino, con un vago richiamo al packaging del Palmes d’Or di Fueillatte. Arriviamo al dunque: il vino nel bicchiere ha un colore impeccabile paglierino chiaro e brillante. Il perlage è molto fine alla vista e genera un effetto schiuma non particolarmente accattivante. Il profumo ricorda abbastanza bene la tipicità della glera, con susine gialle, pesche e pere, anche se l’intensità non è esplosiva. In bocca il vino mette a nudo la sua natura.

Pensato per il mercato inglese? Come? Prima di tutto il perlage fine e cremoso crea al palato un effetto birra, più o meno lo stesso che si prova bevendo una draft non pastorizzata. C’è una buona acidità che però non riesce a neutralizzare il residuo zuccherino, decisamente percettibile e persistente. Siamo di fronte ad un extra-dry, quindi una certa dolcezza è d’obbligo, ma il risultato finale non è proprio quello che esalta un palato italiano. Per il resto struttura e persistenza aromatica sono scarse.

Il profilo, ovvero la presenza dolce nel finale,  fa pensare ad un utilizzo come Ice o addirittura per i mix di buon livello riuscendo a far sì che il vino non perda del tutto la propria identità.

Senz’altro un vino per giovani che si riuniscono per l’aperitivo e per festeggiare eventi, da bere nelle più svariate occasioni, ma mantenendo un certo tono grazie alla spinta del brand, alla riconoscibilità della bottiglia per il packaging vistoso, al prezzo accessibile, un vino che può sicuramente dire la sua nel vasto mercato internazionale del vino spumante, un po’ meno nel mercato di casa nostra.

Paolo Valdastri