Podere Conca. Una storia Bolgherese fatta di familiarità, artigianalità e concretezza.
Quando si varca il cancello di Podere Conca si viene subito avvolti da un’atmosfera che sa di casa. Le tre piccole finestre rosse del casale in pietra carpiscono lo sguardo e sottolineano le caratteristiche dell’azienda: familiarità, artigianalità e concretezza.
A Podere Conca tutto si svolge secondo una linea temporale ben precisa, dal 1861 appartenuto alla Gherardesca e comprato dalla famiglia Cirri nel 1977. Da subito si inizia a produrre olio con gli 800 ulivi di proprietà. Per Silvia Cirri il Podere era un rifugio nel calore familiare nei momenti di stacco dal lavoro di Primario di Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva dell’IRCCS Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio del Gruppo San Donato a Milano.
Nel 2014 Silvia, con l’attitudine di chi è naturalmente portato ad una visione analitica volta alla creazione di ciò che viene prima dal cuore e poi dalla mente, dopo aver seguito il corso da sommelier AIS, decide di diventare viticoltore a Bolgheri e di fare vino. Nel 2015 pianta le prime viti sul terreno attiguo alla casa e poi su un altro pezzo di terra per raggiungere in tutto 5 ettari vitati, con una produzione di circa 25 mila bottiglie l’anno.
Condivide il progetto con il carissimo amico Livio Aloisi, che la terra di Bolgheri la conosceva già essendo cognato di Nicolò Incisa della Rocchetta, da sempre impegnato nell’agricoltura, un antesignano del biologico. I due impegnano nel progetto anche le rispettive famiglie: il nipote Giovanni Gastel, la figlia di Silvia, Virginia e la figlia di Livio, Flavia.
I vigneti sono certificati biologici, non si utilizzano concimi, si pratica l’inerbimento a filari alterni con un mix di semi scelti per ottenere determinati risultati: ad esempio, erbe con radici fittonanti, che entrano nel terreno aprendo la strada alle viti, che si insinuano fino a 60 cm di profondità, oppure leguminose per fornire azoto. Anziché il suo sovescio, si pratica lo sfalcio lasciando l’erba sul terreno per creare un tappeto che limiti la traspirazione dell’acqua e porti sostanza organica alla terra. Il guyot è il sistema di allevamento per tutti i vigneti.
«La cura della vigna deve essere la stessa che si dedica alla crescita della propria famiglia, o alla salute di un paziente: credo profondamente in questo», afferma Silvia Cirri che mi accoglie una mattina di luglio a Bolgheri insieme a Giulia Fidanzi, responsabile commerciale e amministrativo, grazie ad una visita suggerita da Stefano Terzi, del noto ristorante Amaro “braceria con cucina” a Viareggio, che colgo l’occasione di ringraziare in queste righe.
In cantina tutti i vitigni vengono vinificati separatamente e i materiali sono diversi per rossi e bianchi. Per i primi si utilizza l’acciaio, per i secondi il cemento e poi il legno (tonneau o barrique di rovere francese di secondo e terzo passaggio).
L’enologa Silvia Franceschi coadiuva un team tutto al femminile.
Apprestandomi alla degustazione dei preziosi vini, ritrovo nel calice il fil rouge della filosofia aziendale: familiarità, artigianalità e concretezza. Vini netti, chiari, dove si ritrova l’attenzione al dettaglio e la cura per le cose familiari nate nella serenità di un’oasi idilliaca come Bolgheri.
Concretezza, artigianalità, per me divenuto un mantra che denota e valorizza Podere Conca, è ripetuto anche nelle etichette e nei nomi dei vini: ad ogni vino il suo fiore.
L’assaggio
La degustazione inizia con Elleboro DOC Bolgheri Bianco (da Helleborus, detto anche Rosa di Natale, una Renuncolacea) Viognier in purezza, affinato in tini di acciaio, riporta la freschezza del varietale sostenuta da uno spunto sapido ben integrato con una piacevole acidità.
Si passa poi all’interessante 196 IGT Costa Toscana Cabernet Sauvignon (in etichetta riporta i tulipani perché il vino a fine in serbatoi di cemento detti appunto “tulipe” per via della loro forma, il numero invece indica il civico di Podere Conca). Un vino giovane, da vigneti giovani, dunque ancora forse un’idea seppur ben impostata ma ancora con buoni margini di potenziamento vista la natura della materia. Affina circa 8 mesi in serbatoi di cemento, il vino è fresco con tannini ben centrati e piacevoli note di piccoli frutti rossi accompagnati da una acidità ben integrata.
Agapanto (dal greco antico agàpe, “amore” e ànthos, “fiore”, riporta simbolicamente una Liliacea) è il primo vino creato da Silvia, un Bolgheri DOC un po’ speciale, ce ne parla: «Ho sfruttato la possibilità del disciplinare di inserire nel blend un 10% di altri vitigni, ho scelto il Ciliegiolo, di cui sono appassionata. L’obiettivo è quello di creare un vino fresco che dà sapore di frutti rossi e che alleggerisca la corposità del vino senza toglierne la complessità».
Un’idea molto ben riuscita a mio parere che unisce i due Cabernet iconici di Bolgheri, Franc e Sauvignon, con il Ciliegiolo vitigno autoctono toscano raramente individuabile in questa zona. Il risultato che ritrovo nel calice è anch’esso di grande prospettiva, con un bouquet aromatico sul frutto rosso maturo e note di spezie e cuoio, procede nel palato con un corpo setoso, tannini centellinati e distintiva nota di frutta dolce matura. Molto interessante sarebbe anche provare il Cilegiolo in purezza.
La degustazione termina con un mono varietale molto in voga per la Bolgheri moderna che, a ragione, punta sempre di più sul complesso, talvolta austero ma indubbiamente affascinante, Cabernet Franc. Apistòs (dal greco “incredibile” è raffigurato in etichetta da un fiore immaginario) IGT Costa Toscana nasce da 25 filari di Cabernet Franc impiantati tra gli ulivi, è prodotto in appena 1500 bottiglie numerate e firmate a mano, una per una.
La prima annata è la 2019 che esce sul mercato nel 2022, è affinato con le caratteristiche del Bolgheri Superiore: il vino riposa 18 mesi in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio per completare l’affinamento in bottiglia minimo 8 mesi. Rivendica le tipiche note eleganti di peperone verde, la nervatura erbacea non è così prorompente come tanti Cabernet della Costa ma ammansita dalle note di frutta rossa matura. Buona acidità e persistenza con tannini ben strutturati, sono presagio di un’ottima evoluzione in bottiglia.
Alice Romiti