Finalmente abbiamo accettato la logica che parlare di vino “bianco” significhi parlare del vino che rosso non è, lasciando ai “saccenti vinicoli” disquisire sui colori e riferimenti di appartenenza.

Qualcuno ha scritto: Orange Wines, l’altro colore del “bianco”. Ed allora il Pinot Gris più o meno ramato in quale categoria lo mettiamo?

Senza stare tanto a ragionare, parlare, lasciamo ai “cesellatori dei colori” continuare a dibattere sul tema bianco sì, bianco no.

Personalmente la scelta l’ho fatta. Sposata la linea di pensiero che pone gli Orange Wines  tra i vini che rossi non sono.

Si discute

Le origini

Qualcuno tenta di assegnarne la paternità ai nostri contadini. Prolungato contatto con le bucce sia con il mosto che con il vino o quasi vino, donando colori inusuali. Una classica vinificazione come si usa per i vini rossi: bucce che cedono le sostanze coloranti in esse contenute rendendo il vino molto complesso sia al naso che in bocca. Rientra in quella tradizione antica contadina superata nel secolo XX dai nuovi macchinari che eliminano le bucce.

Sappiamo invece che l’origine è di quelle terre che videro i natali dell’uva e del vino: Georgia ed Armenia.

Ancora oggi, soprattutto in Georgia c’è continuità di produzione con tsinandali, ottenuto dalla miscela di uve rkatsiteli e mtsvane; il rkatsiteliottenuto dall’omonima uva; il pirosmani, vino semidolce dedicato all’omonimo pittore georgiano; il mtsvani, vino secco fatto con l’omonima uva.

Ed il nome inglese deriva dalla traduzione georgiana. Se poi registriamo i dati dei consumi di questa tipologia di vini a Londra il fenomeno dei “vini arancio” avoca a sé il diritto di chiamarli Orange Wines.

I macerati

E la moda oltremanica fa tendenza e moda anche in Italia. Ai casi isolati di Gravner e Radikon si sono aggiunti, negli ultimi tempi, una moltitudine di piccoli produttori autodefinitisi “artigiani del vino”  che si avventurano in questa particolare produzione. Nella buona e cattiva sorte. Alcuni ci riescono, altri meno. A noi l’arduo compito di saper scegliere.

Venerdì 7 giugno, presso il Podere Sapaio a Bolgheri, occasione per assaggiare Orange Wines. La batteria, tutta proveniente dalla collezione privata del patron Massimo Piccin, era formata da tre francesi e sei italiani provenienti quest’ultimi da diverse regioni e territori. Una possibilità unica per contrapporre vitigni e vini d’oltralpe con quelli “nostrali.

Gli assaggi

È andata così:

– Savagnin Amphore 2016. Da Arbois, zona precollinare dei Jura. Vitigno di riferimento il Savagnin che ha affinità con il gewurztraminer. Meglio conosciuto come vitigno dal quale si produce il vin de paille, il vin jaune e il vin fou. L’Amphore ha fatto discutere i presenti alla degustazione. Personalmente l’ho posto sul podio al secondo posto. Eccellente, Chapeau!

– Melon de Bourgogne 2014. Proveniente dalla zona posta vicino all’inizio del grande estuario della Loira: Muscadet, il vino amato dalle ostriche (ne vanno pazze. Loro o i degustatori di bivalve?). Ottimo, ma non da podio

– Tellus 2016, anfora. Proveniente sempre dalla Valle della Loira ma non alla fine del percorso del grande fiume ma prima della grande ansa di Orleans. Là dove si produce uno dei vini più complessi ed aromatici del mondo: Sauvignon Blanc di Sancerre e/o Pouilly-sur-Loire, quest’ultimo meglio conosciuto come Pouilly-Fumé.

I magnifici 9

Il produttore di Tellus si trova nella denominazione AOC Sancerre e il suo bio-dinamico Orange Wine raccoglie tutto il fascinoso bouquet minerale della zona di appartenenza. Ottimo, ad un passo dal podio.

– Gravner, Ribolla Gialla 2010. Che dire se non rappresentante ai massimi livelli degli Orange Wines o meglio l’Orange Wine per antonomasia? Bello, bello, bello. Senza stare tanto a discutere. Primo assoluto per tutti. Chapeau!

– Vodopivec 2016. Vitovska. “Vitovska è la regina del Carso. Regna su vigneti terreno-rocciosi e fazzoletti di terra rossa che la mano dell’uomo coltiva rispettosa, guidata da un profondo amore per la natura” (Paolo Vodopivec). Dalle terre vocate per gli Orange Wines questo fantastico prodotto che ha nobilitato tutta la batteria. Eccellente.

– Anphoreus Malvasia 2015, dalla zona collinare di Gorizia. Ancora un vitigno diverso, la Malvasia istriana o del Carso, adatta a macerazioni lunghe. Ha fatto gruppo, lasciando dolci note rievocative della zona di origine.

– Munjebel Bianco 2016. Grecanico 60% e Carricante 40%. Etna lato nord. “Il Munjebel Bianco è una spremuta dell’Etna nata da un blend di uve Grecanico e Carricante che derivano da viti di otre 40 anni radicate sul terreno lavico del grande vulcano. Si tratta di un vino bianco macerato sulle bucce per 4 giorni”. 

Vino Artigianale fatto come una volta, Senza solfiti aggiunti o minimi, Macerato sulle bucce, Lieviti indigeni. Vino meritevolmente sul podio all’unanimità.  Chapeau!

– Trebbiano d’Abruzzo Cirelli 2017. Non poteva mancare la versione macerata di questo particolare vitigno. Ottimo, meritevole d’attenzione.

Ed infine, ultimo ma non ultimo, il macerato di casa Sapaio: Paradiso dei Conigli 2017. Massimo Piccin premette da subito, prima dell’assaggio, che si tratta di un progetto per valorizzare al meglio l’Ansonica dell’Isola del Giglio. Un mix di percorso storico, di micro-clima, di diversità.

Tutto particolare ad iniziare dal nome: Paradiso dei Conigli, un omaggio un po’ provocatorio  ai molti conigli che ivivono in libertà sull’Isola. Tremila metri di vigneto in località Le Secche, vicino al Faro del Fenaio.

Viticoltura eroica su terrazzamenti e trasporto a spalla fino al centro raccolta e via verso Bolgheri con il primo traghetto. Utilizzo delle anfore per la macerazione e affinamento. Un gran bel progetto che ha già raggiunto ottimi livelli di gradimento. Creativo, sauvage!

Trasporto a spalla al Giglio

Una cosa è certa: abbiamo assaggiato il meglio dei meglio esistenti sul mercato e alla fine il risultato non poteva  che essere eccellente.  Il Vino, prima di tutto, deve essere buono. Poi arriva tutto il resto. Chapeau!

Urano Cupisti