Si sa. Non sempre al debutto un evento riesce al meglio. Ed invece l’anteprima del Montepulciano d’Abruzzo, svoltasi a Chieti lo scorso 2-3 Marzo, alla sua prima edizione ha centrato subito il bersaglio. Oltre 40 le aziende ospitate nel polo della Camera di Commercio di Chieti, perfettamente allestito con singoli stand per ogni cantina partecipante, quasi fosse il padiglione Abruzzo del Vinitaly. A voler cercare il pelo nell’uovo, l’assenza di qualche firma di rilievo della viticoltura regionale, da recuperare a nostro avviso già dalla prossima edizione.

L’idea con cui la stampa nazionale specializzata, non così frequente in queste zone, riparte dalle terre d’Abruzzo è di una viticoltura in costante progresso. Assaggi che mettono in luce, nella stragrande maggioranza dei casi, una buona tecnica d’esecuzione, con vini “difettosi” oramai ridotti alla rarità. Se la tecnica sembra oggi acquisita, il prossimo passo, necessario per traghettare il vino abruzzese nell’olimpo nazionale ed internazionale, sarà quello di dar maggior personalità alle proprie bottiglie. Non bastano infatti lieviti selezionati, vinficazioni in riduzione, legni nuovi, maturazioni all’eccesso ed altri stratagemmi di cantina a mettere in competizione i vini della regione con le migliori etichette del resto dello stivale. Le premesse per puntare in alto ci sono tutte; Il montepulciano ha poco da invidiare alle varietà più nobili del paese, perfettamente a suo agio in queste terre, così come il trebbiano, altrove carente di quel carattere che qui invece spesso è capace sfoggiare. Ultimo, non ultimo, il cerasuolo, leader dei rosati italiani, a dimostrazione che si può andare oltre l’idea di un vino “a vita breve” quali molti suoi fratellastri. Osare si può e si deve, riducendo magari le rese a quantità più sagge e dando piena identità a quelle zone, oramai sempre più alte e fresche, ove la viticoltura è solo apparentemente un po’ meno facile e generosa.

Ci siamo divertiti, assieme al collega Riccardo Gabriele, a selezionare qualche etichetta tra quelle assaggiate. Un mosaico che vuol idealmente coprire lo scibile abruzzese secondo le sue referenze più note. Una bottiglia per tipologia; forse non la migliore, ma almeno quella da provare per cercare di capire in che direzione tira il vento sulle colline di questo splendido angolo d’Italia.

Il pecorino: Colline Pesaresi Trabochetto 2012 – Talamonti (Loreto Aprutino)

Solido e di carattere, come si conviene ad un pecorino, questo bianco marchigiano “imprestato” all’Abruzzo ha tutto quanto si può desiderare da un vino di medio impegno: un bel naso pulito e netto, un palato scattante e reattivo e con una finale di inaspettata sapidità. Non ultimo un prezzo “quotidiano”.

 

Il trebbiano: Trebbiano d’Abruzzo (fermentazione naturale, sui lieviti) 2011 – Valle Reale

Il colore velato ed una leggera fondata rivela l’intento di preservare integro il patrimonio dei lieviti indigeni. Non sarà certo vino di “tecnica raffinata” ma regala soddisfazione al naso, con note di erbe e fiori di campo, come in bocca, tesa e di bella mineralità. Se è un “tentativo”, il risultato a noi piace….

 

Il cerasuolo: Cerasuolo d’Abruzzo Leonate 2011 – Angelucci

Un bel colore carico e “tradizionale”: non il solito rosa tenue, timoroso e titubante di molti cerasuoli abruzzesi della nuova era, ma un vino ricco ed opulento, capace di sfidare anche molti rossi coetani. Il naso è sostenuto, la bocca larga e di piena soddisfazione. Un piacevole ritorno al passato.

 

Il montepulciano: Montepulciano d’Abruzzo Cocciapazza 2010 e Mazzamurello 2010 – Torre dei Beati

Son due, si avete letto bene, le etichette di montepulciano e per di più dello stesso produttore: la Torre dei Beati di Fausto Albanesi. Le nuove annate confermano che fu vera gloria: Cocciapazza se la gioca sull’eleganza, Mazzamurello, come suo solito, ha più muscoli anche se oggi è in leggero debito, causa gioventù, d’amalgama. Abbiamo provato a buttarne giù uno dalla torre ma non ci siamo risusciti: dunque un ex equo.

PS: sempre della Torre dei Beati ci sarebbe anche un pecorino (il “Giocheremo con i Fiori targato 2011), forse sottovalutato alla sua uscita.

 

Dulcis in fundo:  Colline Pesaresi Passito di montepulciano Clematis 2007 – Ciccio Zaccagnini

Inchiostro nel colore, paurosamente denso, scende a minuti dalle pareti del bicchiere. Ti aspetteresti uno sciroppo stucchevole all’inverosimile, ed invece no. La bocca ha equilibrio e, udite udite,  tratti di eleganza che lo rendono sciolto nella beva. Le mille facce del montepulciano: pure passito!

 

Daniele Bartolozzi

Coordinatore e collaboratore di Vini Buoni d’Italia – Touring Club Italiano per Liguria, Toscana, Umbria