Il vino, tra i più apprezzati della Tuscia e dell’intero Lazio, è stato celebrato con un appuntamento molto curato proprio nella terra dove è nato

L’impronta è indelebile in virtù di una capacità colorante estrema, ma anche la storia che racconta lascia un segno importante. Parliamo del Giacchè di Casale Cento Corvi, un vino (essendo ormai marchio registrato) tra i più apprezzati della Tuscia e dell’intero Lazio, celebrato con un appuntamento molto curato proprio nella terra dove è nato.

Appuntamento quindi alla Necropoli della Banditaccia di Cerveteri, sito decretato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2004, per una visita guidata ad una delle bellezze più importanti del territorio, e poi degustazione verticale di Giacché dal 2005 al 2017. Sì, avete capito bene, dopo gli assaggi 2005, 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013 (ovvero l’annata attualmente in commercio) l’azienda ha voluto mettere alla prova anche un campione da vasca del 2015 e uno quasi appena spremuto, ovvero il 2017.

Un momento di condivisione organizzato insieme al giornalista e massimo esperto dei vini della Tuscia Carlo Zucchetti e preceduto da interventi delle autorità locali e degli studiosi che con la famiglia Collacciani, patron di Casale Cento Corvi, hanno lavorato da anni al recupero e alla valorizzazione di questo vitigno.

A cominciare dalla classificazione ufficiale e definitiva dell’uva storicamente più pregiata dell’area, ormai identificata con il Lambrusco Maestri (codice 117) in seguito ad analisi genetica. Un dato certo dopo anni di dubbi, che però rilancia l’idea di fondo di Costantino Collacciani, che oggi conduce l’azienda fondata nel 2001 da suo padre Fiorenzo insieme alla sorella Giorgia (enologa): “Si tratta di un lavoro lunghissimo, nato quasi per scherzo negli 1990 e solo con la voglia di recuperare una tradizione. Ho rintracciato i tralci di 7 varietà diverse di Giacchè in altrettante vigne antiche di Cerveteri, innestandole a spacco su un vecchio tendone di malvasia nera che è diventato un po’ il nostro vigneto sperimentale. Quattro le abbiamo abbandonate perché non adatte alla vinificazione, delle tre rimaste abbiamo selezionato la migliore per produrre appunto il nostro Giacchè”.

La storia recente di questo vino è già di per sé importante, ma lo è ancora di più se l’origine di questa uva si fa risalire ancora più indietro, ovvero a quegli Etruschi che realizzarono la Necropoli della Banditaccia (e non solo ovviamente) che impressero una traccia fondamentale nella coltivazione della vite e, soprattutto, che viaggiarono moltissimo per mare e per terra. Che il Lambrusco, quindi, sia ormai identificabile con “Emilia Romagna” non significa di conseguenza che sia originario proprio di quei luoghi.

La presenza storica di questa uva nella zona di Cerveteri potrebbe anche significare un’origine in loco, salvo poi lo spostamento lungo le rotte dei popoli etruschi in Emilia Romagna, regione dalla quale arrivarono numerosi coloni nella Tuscia nel periodo delle bonifiche. Insomma, qualche che sia l’origine, di certo non stiamo parlando di Lambrusco nella sua accezione più conosciuta, ovvero di vino frizzante o spumante, sebbene i Collacciani abbiano in serbo una versione spumante del Giacchè che sarà presentata ad aprile 2018 e sfrutterà anche l’affinamento in botti di acacia. Il Giacchè Lazio IGP Rosso di Casale Cento Corvi è un vino molto strutturato, capace anche di invecchiare bene, che è stato sperimentato in diverse sfumature nella sua storia recente.

L’azienda sta infatti riscoprendo anche il legno di castagno, tipico di tutto l’areale laziale, per l’affinamento, mentre dopo un tentativo di approccio completamente biodinamico sta ora disponendo una “agricoltura di rispetto” come ama definirla Costantino, il responsabile di tutta la parte agronomica.

Giorgia, enologa in carica a tutti gli effetti dall’annata 2012, sta puntando su fermentazioni spontanee sfruttando al meglio quanto il terreno vulcanico e le brezze marine consegnano all’uva. Il Giacchè di Casale Cento Corvi va verso la maturità quindi, cominciando ad avere un’identità specifica e costante negli anni dopo i primi imbottigliamenti frutto comunque di alcune sperimentazioni. Non è facile, infatti, trovare subito la strada giusta per un’uva che, pur interessante, non è stata mai vinificata in purezza.

Fabio Ciarla