“Per essere competitivi e soprattutto sopravvivere in un’enologia, che risente come tutto il resto dell’economia, di “aria di spending review”, non ci si può limitare a fare vini di buona qualità, ma si devono produrre vini dotati di distinzione, ovvero d’identità e carattere.”

Ernesto Gentili, che dal 2003 cura, con Fabio Rizzari la guida: “I Vini d’Italia dell’Espresso”, suggerisce questa strada per resistere alla crisi del mondo enologico e continua:

L’Italia ha migliorato e continua a migliorare la qualità della sua produzione, sia per quanto riguarda la grammatica enologica, sia per ciò che concerne la caratterizzazione del prodotto finale, anche in virtù della felice opportunità offerta da vitigni, territori e microclimi estremamente diversificati su cui fare riferimento, ma è pur vero che ancora oggi è piuttosto ampia la proposta di vini dallo stile convenzionale, poco distinguibili gli uni dagli altri. La crisi ha indubbiamente il suo peso nelle scelte finale che ogni produttore deve fare. Se la quota di vino invenduto e fermo in magazzino aumenta, se le banche sono restìe a concedere credito, se i clienti non pagano, è evidente che tutto ciò può ripercuotersi anche sulla qualità dei vini, con una riduzione degli interventi di gestione del vigneto e della cantina”.

Essere biologici o biodinamici fa la differenza sul mercato attuale?

L’approccio alla produzione biologica, sta crescendo, sempre più produttori decidono di dedicarsi ad una produzione ecocompatibile, sia per distinguersi dagli altri, sia per una maggiore presa di coscienza dei valori ambientali. A grandi linee si può affermare che una scelta “naturalista” tende a far emergere con maggiore chiarezza i valori territoriali, proprio perché meno contaminati da logiche interventiste, ma, come hanno giustamente rilevato prima di noi alcuni colleghi transalpini (in Francia l’adesione al vino “bio” si è sviluppata in anticipo rispetto all’Italia), se è vero che questo tipo di approccio esalta i caratteri del territorio, ciò avviene sia in senso positivo che negativo. Vale a dire che, se un territorio possiede potenzialità, ne deriveranno vini fortemente espressivi e caratterizzati, se, al contrario, il territorio non è assolutamente vocato emergeranno i lati meno convincenti. Abbiamo ripetuto più volte che, per il lavoro che affrontiamo per la Guida dell’Espresso, il fatto che un vino provenga da coltivazione bio o convenzionale, non costituisce un elemento pregiudiziale. I vini sono degustati alla cieca e sono giudicati in base a ciò che ci trasmette il “bicchiere”, quindi un vino può risultare eccellente al di là di qualsiasi considerazione relativa al prezzo, al prestigio dell’azienda e alla sua filosofia produttiva. Il fattore umano ha inoltre un’incidenza notevole per la riuscita di un vino. Ci sono produttori convenzionali, dotati di grande cultura e sensibilità e produttori naturalisti di scarso talento. Se, comunque, vengono premiati un numero sempre maggiore di biologici è dovuto semplicemente al fatto che incontrano sempre di più i nostri gusti, che privilegiano gli aspetti di naturalezza espressiva“.

Che cosa differenzia la Guida dell’Espresso dalle altre guide?

Esistono due atteggiamenti contrapposti nella preparazione di una Guida: c’è chi, come noi, la struttura in funzione di chi il vino lo deve comprare, siano essi operatori di mercato o (soprattutto) consumatori finali. Abbiamo a cuore il loro giudizio e, conseguentemente, l’attenzione a fornire loro i consigli giusti. Prima di tutto è fondamentale creare una condizione di fiducia e chiarezza con il consumatore, comunicandogli le nostre verità. Opinabili, discutibili quanto si vuole, spesso scomode, ma autentiche. Da questo tipo di rapporto, ne può derivare poi un riscontro positivo e credibile anche per chi il vino lo vende, ma deve essere solo una conseguenza auspicabile, non l’obiettivo diretto. L’altro aspetto riguarda la linea interpretativa. Credo che, fatte salve le precedenti considerazioni sull’assenza di pregiudizi, sia importante far capire al lettore quali siano i nostri gusti e cercare di evidenziarli con la massima coerenza possibile. Certo è che una linea non può tracciarsi con il righello, ma deve essere frutto di un processo naturale basato sull’evoluzione e sul confronto ripetuto del gusto soggettivo di ogni assaggiatore“.

Dopo anni e anni, che si degustano vini, non si rischia di assuefarsi e aspettarsi quel vino ideale che non arriverà mai?

Per degustare un vino devi essere distaccato e molto concentrato. Questo lavoro non deve diventare per nessuna ragione routine, se così fosse, avrei già smesso di farlo. Non esistono caratteristiche ideali per un vino, non c’è un modello prefissato, ma ci sono vini che ti emozionano, sempre. Oggi questo lavoro è ancora più “divertente”, perché la qualità del vino è salita molto e la produzione è più variegata e interessante.

Cosa cambieresti del mondo del vino?

Ovviamente non è un mondo perfetto, ha molte lacune ma, rispetto ad altri settori, è più vitale e pronto a riconoscere i meriti. Certamente sia tra i produttori, che in ciò che ci gira intorno (operatori, comunicatori, critici etc..), c’è chi è sopravvalutato e chi è sottovalutato, però chi lavora bene e seriamente nel vino, prima o poi riceve i giusti consensi. Oggi il mercato mondiale si è enormemente arricchito di nuovi acquirenti in paesi che solo 15-20 anni fa non consumavano vino, o ne consumavano pochissimo. In Italia è invece salita molto la qualità, la consapevolezza, l’identità, in sintesi la cultura dei produttori in genere, mentre i problemi sono di carattere generale, sia sul piano economico, che culturale. La produzione del vino e di prodotti alimentari di alto livello dovrebbero rappresentare l’elemento trainante per l’economia di questo paese, ma se devo fare un appunto, manca una politica coordinata, di supporto alla produzione, manca una presentazione del prodotto ben orchestrata ed efficace, manca una vera regia, presente in altri paesi, meno dotati di noi. Un’economia che si basa sulla produzione del vino e sull’agricoltura in genere può contare su una voce produttiva che preserva e migliora l’ambiente. Sarebbe indispensabile creare un percorso cognitivo e di sensibilizzazione professionale, a partire dalla scuola, fino ad arrivare a costruire tutto un sistema che riesca a coordinarsi e crescere diventando sempre più efficace e meno schizofrenico. Si dovrebbe potenziare il lavoro di squadra, perché è con la coesione che si promuove un settore e si cresce”.

 

Alessandra Rachini