Cantina Moser e il ritorno alla terra di Francesco, lo “Sceriffo” del ciclismo italiano

Forse non tutti sanno che … così iniziano molti racconti e così dovrebbe iniziare questo racconto sulla cantina Moser, visto che non siamo in presenza di una semplice omonimia, ma quel Moser è proprio Francesco, lo “Sceriffo” del ciclismo italiano, campione del mondo, recordman dell’ora per diversi anni, vincitore di ben 273 corse su strada tra i professionisti (primo in Italia e terzo nel mondo per numero di successi all’attivo) e di altri innumerevoli allori.

Tutto ebbe inizio negli anni ‘50, con Ignazio, papà di Francesco che coltivava i suoi appezzamenti di terra in Val di Cembra, in Trentino. All’inizio con l’aiuto dei suoi 12 figli, tra cui Aldo Enzo, Diego e ovviamente Francesco, ma, chissà se per conformazione genetica o magari solo per trovare una”buona scusa” per sfuggire al duro lavoro della terra, pian piano divennero ciclisti professionisti. Ma per Francesco il richiamo della terra è sempre stato molto forte e nel 1988, appesa bicicletta al fatidico chiodo, tornò a fare il viticultore a tempo pieno nell’azienda agricola fondata nel 1979 con Diego, e investendo tutto nell’acquisto di Maso Villa Warth, un’antica dimora vescovile del seicento a Gardolo di Mezzo, su una collina che sovrasta Trento.

Oggi l’azienda è guidata dal suo primogenito Carlo che si occupa di tutta la parte amministrativa e finanziaria dell’azienda, forte anche di una precedente esperienza lavorativa all’estero in una multinazionale, inoltre è Vicepresidente dell’istituto Trento Doc, da sua figlia Francesca all’accoglienza in cantina, da suo nipote Matteo (figlio di Diego) che è l’enologo  ed infine da suo figlio Ignazio che si occupa del commerciale e marketing.

Proprio da Ignazio è nata l’idea di creare, con l’avvento dell’estate, Terrazza Moser, temporary lounge bar in collaborazione con Hilton Hotels & Resorts, con i vini del’azienda trentina protagonisti ogni mercoledì sera sul rooftop dell’Hotel di lusso milanese. L’obiettivo è far conoscere ancora meglio i propri vini e far aprire così le porte di altre importanti ristoranti milanesi. Un’alleanza basata più sull’amicizia tra Ignazio e Stefano Gioffredi, outlet manager di Hilton, che sull’investimento ma che in ogni caso sta già dando i propri frutti.

Attualmente sono 16 gli ettari vitati di proprietà dei Moser, suddivisi tra tre aree trentine dalla forte connotazione vitivinicola. Sui terrazzamenti di Giovo in Val di Cembra (comune che ha dato i natali alla famiglia Moser) crescono Müller Thurgau e Chardonnay, Sorni in prossimità di Lavis è la dimora ideale per il Teroldego, mentre la maggior parte delle vigne si trova proprio intorno a Villa Warth che accoglie le viti di Moscato Giallo, Gewürztraminer, Riesling e Lagrein, oltre ad un piccolissimo cru di Pinot Nero.

Ecco alcune delle loro etichette:

Maso Warth Moscato Giallo 2015 è un vino dalla filosofia molto moderna: low alchol e tanta acidità. Vinificato secco, da godere durante gli aperitivi o da abbinare a piatti di pesce. Da un unico vigneto su terreni calcarei esposti al sole e al vento dell’Ora del Garda. È allevato a pergola trentina per evitare un’eccessiva luce sui grappoli e preservarne i caratteri varietali e balsamici, affinamento su fecce fini per 6 mesi in vasche di acciaio. Un giusto equilibrio tra aromaticità, acidità e struttura. Non vuole essere un vino impegnativo, importante, anzi è da bere senza farsi troppe domande. Le note fresche negli anni tendono a virare verso sentori più evoluti tipo riesling, per questo in molti lo preferiscono un po’ più “datato”.

Maso Warth Riesling 2015, Riesling Renano in purezza, unico bianco che fermenta e affina (4/5 mesi) in botti di rovere da 25 hl. Tanta sapidità e buona lunghezza. Un vino certo non d’annata che trascorre almeno un anno in bottiglia prima della commercializzazione.

A completare la gamma dei bianchi fermi vi sono Müller Thurgau, Gewürztraminer e Chardonnay.

Il portabandiera dell’azienda, sia per numeri (oltre 40.000 bottiglie annue prodotte su un totale di 130.000) sia per riconoscibilità, è lo spumante metodo classico Brut 51,151 un numero speciale riportato in etichetta proprio come i kilometri percorsi in un’ora oltre 30 anni fa, il 23 gennaio 1984, sulla pista di Città del Messico, un record rimasto imbattuto per molti anni. Chardonnay in purezza, annata 2013, un mix dai vigneti delle tre zone di produzione. In questo millesimo il 20% fa fermentazione malolattica in botti grandi, in media rimane sui propri lieviti per almeno 30 mesi. Stile pulito, tagliente, poco dosato (solo 5 g/l) per una freschezza impagabile.

Il Rosé Extra Brut 2012, seconda annata sul mercato, è 100% Pinot Nero raccolto a mano da meno di un ettaro di vecchie vigne che oltre trent’anni fa furono piantate a Villa Warth. Pressatura delle uve intere, permanenza sulle bucce solo in pressa per circa 2/3 ore (che regala un color buccia di cipolla alquanto scarico una volta che il mosto fiore si stabilizza), fermentazione in acciaio e oltre 40 mesi di affinamento sui lieviti. 5.000 bottiglie (oltre a 500 magnum), per nulla “ruffiane”che vogliono rappresentare l’espressione più pura del Pinot Nero piuttosto che quella di un rosato, sempre alla continua ricerca dell’equilibrio tra eleganza, struttura, freschezza, sapidità e persistenza. Uno spumante diretto, verticale, che ti colpisce al centro del palato! Da dicembre in uscita la terza annata (millesimo 2013) che porterà la permanenza sui lieviti a 45 mesi per poi col tempo stabilizzarsi intorno a 48 mesi.

Il Brut Nature 2011, ultimo nato in vendita da maggio, è la miglior selezione Chardonnay di montagna dai loro vigneti della Val di Cembra, quelli che coltivava il nonno dei ragazzi, che gli dona tanta longevità. Veste grafica rivista per evidenziare la sua unicità. Solo acciaio e niente malolattica, 60 mesi l’affinamento in bottiglia (56 mesi sui lieviti e ulteriori 4 dopo la sboccatura). Mineralità spinta ai massimi livelli, tagliente ma non acido nel rispetto dello stile di casa Moser! 4.000 bottiglie nate dall’assemblaggio di 8 microvinificazioni, distinte per singolo appezzamento.

Dall’anno scorso in conversione biologica, per loro è una delle possibili scelte per preservare il proprio territorio, e “Non per vendere delle bottiglie in più, in tal caso sarebbe una sconfitta per tutti – come dichiarato da Matteo – Questa è la prossima sfida.”, anche se ammettono che Francesco fa ancora fatica a capirla, forse perché lui in fondo è un agricoltore vecchio stampo. Una sfida che molti viticultori trentini stanno affrontando, un “biologico” (credo rivisto ma soprattutto corretto, almeno spero) che diventerà lo standard produttivo dei prossimi anni nel mondo dei vignaioli, anche se siamo ancora molto lontani da un vino solo uva e basta.

In futuro la produzione annua si assesterà intorno a 160.000 bottiglie, e ci regalerà (forse nel 2022) una vera Riserva Trentodoc, un metodo classico con almeno 10 anni di permanenza sui lieviti, oltre probabilmente ad un nuovo vino, un Super Teroldego, vitigno molto caro ai trentini, che sta vivendo un vero momento di rinascita. I “Teroldego Boys” della Piana Rotaliana sono avvisati! J

Antonio Cimmino

[Photo Credit: Antonio Cimmino; mosertrento.com]

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