Quest’anno il WineHunter Helmuth Köcher ha voluto dedicare, al Merano Wine Festival, una parte della sala Czernysaal del prestigioso e romantico Palazzo Kurhaus, ai rosé italiani, i vini in futuro.

I ROSÉ

Non ci sono vini maggiormente chiacchierati come i vini rosé. Definiti vini che non sono vini, innaturali (ditemi quali sono i vini naturali), vini di una notte (in senso dispregiativo), mescolanze di bianchi con i rossi (ignoranza alla massima potenza), vini da donne se non da donnicciuole e via, via, via.

Senza rendersi conto che i rosé, quelli buoni, non solo per colore, fatti con vitigni che ne esaltano visivo, olfattivo e gustativo, sono magistralmente “opere d’arte” che impegnano i produttori seri, quelli che ci credono.

È sorprendente constatare che le tecniche di produzione per ottenere un buon rosé non siano così semplici e limitate a vino di una notte. Impegnano eccome; risultano onerosi quanto per l’ottenimento di un bianco e/o un rosso. La differenza è nei tempi di affinamento. Tutto qui.

Qualcuno è voluto andare oltre. Se pur considerando il vino rosé alla stregua degli altri vini (bianco e rosso) ha decretato un dogma: il rosé è un metodo di produzione, non un vino!

Questa affermazione proprio non l’ho capita. Il rosé è un vino ottenuto con metodi che rispecchiano una particolare evoluzione della vinificazione in bianco. Ma vino è, eccome.

Il non vino, mezzosangue, né carne né pesce è purtroppo oggi legato alle mode e alle stagioni, in particolare a quella estiva.

Ogni azienda vinicola deve avere, per ragioni di mercato, una etichetta rosa nel proprio catalogo. L’origine delle ciofeche rosa, quando si usa “quel che c’è di bacca nera in vigna”.

Sara Porro su Dissapore ha addirittura elencato in otto punti (un “ottalogo” che condivido e diffondo volentieri) la verità sui vini rosati:

  • Il rosé non è per forza rosa;
  • non è un vino da signorine;
  • non è un vino estivo;
  • Può, nei suoi limiti, invecchiare;
  • Non è solo da aperitivo ma a tutto pasto;
  • Non si abbina solo al pesce;
  • Non va bevuto ghiacciato;
  • Non è un vino cheap.

Il WineHunter Helmuth Köcher, attento a tutto quanto ruota intorno all’enogastronomia, ha invitato ultimamente a Merano cinque consorzi rappresentativi dei migliori rosé prodotti in Italia:

– Consorzio di tutela del Chiaretto e del Bardolino;

– Consorzio Valtènesi;

– Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo;

– Consorzio per la Tutela dei Vini DOC Castel del Monte;

– Consorzio di Tutela vini DOC Salice Salentino.

Alcuni ben noti e riferimento del conosciuto rosato italico, prodotto con uve dalla carica antociana che, se pur con attenta vinificazione, difficilmente si discostano dai colori Chiaretto e Cerasuolo.

Oggi, la classica scaletta imparata ai corsi per conseguire l’attestato di sommelier, è in buona parte superata dai nuovi colori emergenti:

Fior di pesco: ricorda il colore dei petali del fiore di pesco;

Salmone: ci ricorda il colore più o meno intenso di questo pesce;

Buccia di cipolla: un rosa intenso, carico di riflessi che tendono all’aranciato;

Grigio o ramato prodotta da Pinot gris ramati.

Il Consorzio che più ha attirato la mia attenzione al Merano Wine Festival è stato il Consorzio Valtènesi. Vuoi per la mia particolare predilezione verso i colori tenui (fior di pesco, salmone), vuoi per i vitigni coinvolti nella produzione (Groppello, Marzemino e Sangiovese, Barbera bresciani), vuoi per la straordinarietà dei luoghi di produzione.

La Valtènesi è un’area sconosciuta ai più. Pochi sanno che è una zona dove normalmente il sole splende per 3.000 ore all’anno favorendo la coltivazione di limoni. Risulta essere la zona più a Nord del mondo dove si coltivano agrumi e capperi oltre agli ulivi.

Terreni “leggeri” di origine glaciale influenzati dalla presenza del Lago di Garda che crea un microclima origine di vini eccellenti. La sponda del Lago rivolta al mattino con Moniga del Garda al centro.

Tra i rosé assaggiati quello dell’Azienda Costaripa è risultato, a mio giudizio, il più interessante.

Rosa Mara 2017

Note aziendali:  Vitigni: Groppello, Marzemino, Sangiovese, Barbera, coltivati nei nostri vigneti nelle migliori esposizioni rivolte al lago.

La tecnologia è rappresentata dalla vinificazione “a lacrima”, cioè l’utilizzo del puro fiore attraverso lo sgrondo statico prima della fermentazione, ottenendo così un mosto che può essere considerato il cuore dell’acino. Il 50% del mosto fermenta ed evolve in piccole botti di rovere da 228lt per circa 6 mesi.

Le mie considerazioni: accostarlo al rosé provenzale è il minimo che si possa dire per questo rosato. Rinfrescante, complesso ed intenso. Note floreali di rosa selvatica e fiori bianchi, fruttate note di lamponi ed agrumi. Fresco, pieno, sapido e buon equilibrio. Il finale è persistente, sapido e setoso. Eccellente, voto 92/100 Chapeau!

Urano Cupisti