Con qualche considerazione sui vitigni autoctoni

Abrusco, abrostine, barsaglina, orpicchio, foglia tonda e continua continua. Sono centinaia le uve  che rischiano di cadere nell’oblio e nell’estinzione e molti addetti ai lavori, scienziati, produttori, scrittori, si stanno adoperando perché ciò non accada. Di recente all’Accademia dei Georgofili si è tenuto un incontro su Scienza Ampelografica ed Evoluzione della Biodiversità Viticola a corredo della Mostra delle uve del Germoplasma Toscano curata da Roberto Bandinelli e Paolo Storchi ed è stata tracciata la storia di un gran numero di varietà da recuperare.

Alcune di queste uve sono altamente qualitative e il rischio del loro abbandono deriva esclusivamente dal fatto che un tempo si privilegiava la quantità alla qualità per motivi di sopravvivenza. Quasi tutte le uve di difficile coltivazione e scarsa resa sono state messe in un angolo ancorché dessero ottimi vini.

Oggi l’attenzione è rivolta soprattutto alla qualità del vino ma anche alla ricerca del legame con il territorio. Non è importante solo la qualità del vino ma anche e soprattutto la sua esclusività, il poter dire che quel prodotto nasce lì e solo lì. Il problema, però, è far capire dov’è questo “lì”. Ci si chiede quale è  la effettiva potenzialità di successo di questo forte legame tra vino da uva autoctona e un determinato territorio. C’è un partito delle uve abbandonate da recuperare, costituito per lo più dai vignaioli “naturali” o “veri” che dir si voglia, i quali sostengono che la diversificazione è l’arma segreta per conquistare i mercati. Questi bravi produttori fanno di tutto per un ritorno a tradizioni abbandonate, piantando e coltivando uve dai nomi insoliti e producendo vini che cercano di inserire in un giro commerciale che dia qualche ritorno anche economico agli sforzi compiuti.

Io ho sempre avuto una grande simpatia per queste sperimentazioni, per la riscoperta di sapori antichi, per la diversificazione del prodotto, ma ho anche dei grandissimi dubbi sulla loro capacità di successo. Semplicemente perché per raggiungere l’obbiettivo occorre mettere in campo risorse proibitive in termini di investimento necessario per attuare una efficace comunicazione. Ci sono in questo campo correnti di pensiero diverse sul come aggredire i mercati.

Ricordo che già agli inizi del 2000 Alain Brumont percorreva in lungo e in largo l’Italia diffondendo il verbo del Tannat, convincendo produttori già famosi a sperimentare anche questo difficilissimo vitigno accanto ai prodotti già affermati. Brumont sosteneva che anche se i suoi Madiran erano buonissimi, senza una diffusione planetaria del vitigno e conseguente comunicazione globale non ci sarebbe stata possibilità di successo, ma si sarebbero potuti ottenere soltanto dei risultati buoni ma  circoscritti nella sola area di origine. Ne parlai con Marco Caprai, dal momento che Tannat e Sagrantino hanno molte cose in comune, ma mi trovai davanti ad un muro. Marco sostiene che il Sagrantino è e deve rimanere strettamente limitato al territorio di Montefalco e che la capacità di successo di mercato dipende proprio dal fatto che si produce lì e solo lì. Due visioni agli antipodi insomma.

Con il cuore sono personalmente dalla parte del “piccolo è bello”, dell’autoctono coltivato dai nonni, della diversità che ti fa uscire dalla noia. Ma con la testa la prospettiva cambia e di molto.

Specialmente leggendo articoli come: The Collio Problem di Robert Camuto su Wine Spectator del 9 ottobre 2017.

“Northeastern Italy’s Collio has a problem. …: Too many grapes do well here”.

“The trouble is, with such a wealth of grapes and varied winemaker styles, it’s been near-impossible to define the region to the world.”

Impossibile dare al mercato globale una descrizione chiara e definita di questa regione. Eppure è una regione che ha visto la presenza di vitigni francesi fin dal XIX secolo. Ci sono grandissimi bianchi a base di Sauvignon Blanc, Chardonnay, Pinot Grigio accanto a perle come il Friulano e la Ribolla. E altrettanto grandi rossi dove dominano Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, tutti molto comprensibili ed apprezzati dal mercato globale.

Eppure a parere di Camuto questa situazione crea un caos incomprensibile e Roberto Princic acconsente: “It’s a mess,” says Robert Princic, 41, president of the Collio producers’ consortium and owner of the Gradis’ciutta winery. “But the mess is our history.”

Nonostante la presenza di molti vitigni internazionali, non si riesce a descrivere lo stile del territorio. Curioso vero? Chi sa cosa succederebbe se a qualche furlan venisse l’uzzolo di piantare un po’ di foglia tonda e di orpicchio, tanto per non farsi mancare niente. Occorre dire che nelle DOC friulane accanto ai vini in purezza esistono DOC bianco e DOC rosso dove è possibile introdurre di tutto e di più e il povero consumatore deve sempre documentarsi a fondo se oltre al buon bere vuole anche conoscere, per sua legittima curiosità, che cosa sta bevendo. Ma da lì a sostenere che il territorio è incomprensibile c’è di mezzo un abisso.

E allora come si può risolvere il problema? Semplicissimo: con un bel colpo di marketing!

Introducendo la DOCG, la Grande Selezione, il Superiore il problema è risolto.

Sì, perché GRANDE e SUPERIORE, sono le parole magiche per il mercato internazionale abituato a dividere per categorie e per classificazioni. “So will new labels with words like “Grande” and “Superiore” help Collio become better known? We humans like to categorize and classify.”

Vaglielo a far capire cos’è l’Orpicchio!

Dalla vendemmia 2018 dovrebbe entrare in vigore la nuova DOCG e relativi accessori. La Grande Selezione conterrà Friulano dal 50 al 70% e Ribolla  e/o Malvasia per un massimo del 30% da sole o congiuntamente. Poi, dal momento che il Pinot Grigio del Collio è diverso da tutti gli altri pinot grigio del mondo, nasce anche la  categoria Collio Pinot Grigio Superiore.

Così attraverso il cavallo di Troia del Grande e del Superiore, le varietà locali torneranno ad avere ruolo di protagoniste. Ma che fatica!

Amici del Chianti Classico Gran Selezione  e del Bolgheri Superiore siete avvertiti: non siete più soli.

Anzi potrebbe anche verificarsi il caso che il Grande risultasse più efficace del Gran.

W il marketing. Abbasso l’abrostine.

Paolo Valdastri