Per chi Vi scrive quest’anno il Vinitaly è stato un evento dimezzato. Un’indisposizione, di mente prima che di fisico, una sorta di spleen che i calici più intriganti non riuscivano ad anestetizzare…
Impegni (giustificati? effettivamente dovuti?) che si affollavano, moltiplicando le ansie. E non ho potuto pertanto godere di quella gioiosa condivisione, dell’inebriante clima festaiolo che dovrebbe essere la cifra della fruizione di questo evento.
Pure, la speranza è che non tutto mi sia andato perduto, che dagli inopinatamente ridotti assaggi io sia comunque riuscito a ritenere qualche lezione, a imparare, a crescere. Riscontrare conferme, stupirsi di sorprese. Di cosa hanno potuto allora arricchirmi questi due sparuti, faticosi giorni?
Ho (nuovamente, perennemente, e non è una sorpresa) che la disposizione d’animo è prerequisito essenziale all’assaggio, in termini di assenza di preconcetti e attitudine a farsi conquistare, da ciò che è nuovo, puro, in precedenza inoptato. Che senza umiltà non si dà passione per il vino. Che ogni calice è un tesoro da disvelare, anche quando si torna a un lido ben noto, a una bottiglia amica, che è tale perché non finisce mai di raccontarci qualcosa di intoccato, mai immaginato. E che, quindi, occorre avere sacro rispetto di qualunque opinione questo confronto dialettico farà scaturire, e che le affermazioni apodittiche lasciano il tempo che trovano.
Che tutto sommato al Vinitaly si assaggia meno che altrove, ma (a volte) c’è fortunatamente l’occasione di rilassarsi di fronte a un bicchiere, a dispetto del marasma che circonda la nicchia dello stand dove ti sei fermato (certo, dipende anche da te). Perché, lo crediate o meno, è lì che rifulge il contatto umano con chi ti racconta, condividendolo, un sogno o una visione. Di luce che bagna le vigne e vento che le accarezza, o nel merito di un dettaglio tecnico. Perché c’è sempre passione in quella che il bicchiere ti regala. E al Vinitaly, nel Vinitaly, vien la voglia di assaggiare ancora, di approfondire ancora.
Non è poco tutto ciò. Fa piacere ricordarselo. Fa piacere, quando si è giù di morale, ricordare che ci è capitata la fortunata ventura di coinvolgerci in un mondo che non ci annoierà mai. Che siamo poco di fronte alla smisurata varietà di vini, stili, terre, climi, tini botti e soprattutto persone che platealmente ci si para davanti; e che nonostante il marketing, l’industria, i rapporti costi/ricavi e i prodotti studiati a tavolino non potremo mai essere delusi, perché anche tutto ciò insegna, distilla esperienze.
Al prossimo Vinitaly. E in alto i calici.
Riccardo Margheri