Anteprima Vernaccia di San Gimignano, ovvero come salvarsi da un’annata problematica e vivere felici.

Per scrivere dell’Anteprima della Vernaccia di San Gimignano, svoltasi lo scorso 13 febbraio nei consueti spazi del Museo De Grada della città delle torri, occorre doverosamente fare una (costante) premessa fondamentale: di tutte le presentazioni delle nuove annate dei vini toscani, trattasi sempre di quella più problematica, dalla quale più è complicato trarre un sentimento esaustivo e meditato in merito all’andamento della vendemmia.

Ciò in quanto i vini presentati sono i più indietro nella loro evoluzione, tra tutti quelli degustati nella convulsa settimana di assaggi: molti campioni provenivano dalle vasche di affinamento e non erano ancora passati in bottiglia (anche se quest’anno tutti erano certificati, ovvero approvati per l’attribuzione della DOCG, come specificato dalla Presidentessa del Consorzio Letizia Cesani). Di volta in volta, alcuni di essi potevano essere torbidi, non precisi al 100% al naso, ancora condizionati dalla solforosa pre-imbottigliamento oppure (sia mai!) dall’acidità volatile, o ancora scomposti, con acidità ballerine che trasformavano certe etichette in aspiranti spumanti. Si ricordi che in questo caso manca inoltre il punto di riferimento del tannino, la cui grana e integrazione nel corpo del vino contribuiscono a formare un giudizio sulla qualità della bottiglia.

Si noti che quanto sopra non è un giudizio di merito tranchant che denigra l’annata, bensì una descrizione condensata delle generali difficoltà nelle quali si trova il degustatore, che mai come in questa occasione deve sfoggiare le sue capacità divinatorie, scrutando un’opaca sfera di cristallo nel tentativo di individuare il futuro di vini potenzialmente profondi e longevi ma ancora in pectore.

Pure, la curiosità era tanta, poiché la sfida era asseverare il valore di un’annata 2018 problematica, proprio perché ineguale, ondivaga. Nell’estate (per tacere della primavera…) è piovuto a macchia di leopardo, con alternanza di giornate calde che con l’umidità ponevano istantaneamente problemi fitosanitari. E tali difficoltà si sono peraltro presentate nel comprensorio in misura tutt’altro che indifferenziata, con fenomeni atmosferici che si scatenavano su certi versanti e lasciavano pressoché indisturbati vigneti situati anche a brevissima distanza. Vi era il timore di una diluizione del prodotto finale, nonché di un grave condizionamento qualitativo per la Vernaccia, vitigno dalla buccia sottile che può rompersi quando l’acino si gonfia per eccesso di disponibilità, con conseguenti ovvie nefaste conseguenze a livello di malattie fungine.

In sintesi, proprio in una vendemmia come la 2018 divenivano cruciali la posizione del vigneto, l’esposizione, la capacità di drenaggio del suolo, la ventilazione. Per non parlare, ça va sans dire, della sensibilità, dell’avvedutezza, della tempestività e del coraggio (vedi scelta del momento della raccolta, o la “ferocia” nella selezione in vigna…) necessarie al viticoltore nell’interpretare il proprio territorio. Una conoscenza puntuale e una cura certosina imprescindibili per attuare tutte quelle pratiche necessarie ad assicurare una maturità accettabile, e l’arrivo in cantina di una materia prima adeguata. Ciò è sempre vero a prescindere, lapalissiano oserei dire, ma la valenza di tutto ciò si è estremizzata nelle ultime vendemmie (anche nella torrida 2017), scombussolate dal mutamento climatico. E il 2018 è per l’appunto il paradigma di tutto quanto rischia di succedere negli anni a venire.

Grappolo Vernaccia di San Gimignano

Ebbene, è parere di chi scrive che il severo esame sia stato brillantemente superato: l’assaggio delle Vernaccia annata suggerisce focalizzazione del frutto, una buona acidità che non impedisce un succoso volume al palato, e tanto meno lo sfoggio di quella sapidità che è la cifra distintiva del vino di San Gimignano. Il tutto, per quanto si può intravedere da questi campioni in divenire, coniugato in un piacevole equilibrio, che rende agevole e svelta la beva di vini tutt’altro che scarni e sottili, e anche dotati di sufficiente profondità gustativa e persistenza.

E’ la conferma di una perizia e di una consapevolezza diffuse, ormai patrimonio di un comprensorio meritatamente cresciuto negli ultimi anni nella considerazione del pubblico e della critica, che ha avuto il coraggio di cercare il confronto (vedi le degustazioni comparative con altre famose denominazioni, anche estere, che da molti anni caratterizzano l’Anteprima), e che persegue con coerenza la strada della qualità e dell’identità territoriale per cercare ulteriori sbocchi sul mercato globale. E non è piaggeria.

Sembrerebbe tutto perfetto, e quasi lo è, ma è d’uopo qualche distinguo: capita che il profilo aromatico di taluni dei non molti (per fortuna) campioni con taglio di vitigni internazionali non emerga da un’aurea mediocritas; le etichette 2017 proposte con un anno di ritardo all’assaggio, per quanto ben fatte e più “meditate” e selezionate rispetto alle precedenti uscite del millesimo, non ne dissimulano il caldo torrido che ha escluso ogni aspirazione a un vino equilibrato e longevo (in particolare, non c’era tutto questo bisogno di proporre delle Riserve 2017); alcune Riserve sono forse meno scattanti di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi, problema questo che sembra diventato comune a molte denominazioni, quando la ricerca della maturità penalizza la verve acida. Ma l’impressione generale è più che positiva, e si può azzardare che la Vernaccia 2018 sarà in generale piacevole nell’immediato, e al contempo potenzialmente piuttosto longeva.

Marchio Consorzio Vernaccia di San Gimignano

Duole a chi Vi scrive non aver potuto partecipare al consueto seminario nella monumentale e affrescata Sala Dante, nella quale il vino di San Gimignano si è confrontato con un vitigno tipicamente mediterraneo come l’Ansonica, sotto l’accorta guida dell’amico giornalista Leonardo Romanelli. A malincuore, ho ritenuto di dedicare più tempo e attenzione alla valutazione delle nuove uscite, da cui distillo, senza pretese di esaustività, alcuni campioni che mi hanno emozionato.

I prescelti

Tenuta Le Calcinaie, Vernaccia di San Gimignano Riserva 2016 Vigna ai Sassi: i vini della casa sono sempre stati materici, imperiosi per l’impatto al palato, a volte scontando un eccesso di alcolicità. Questa volta l’amico Simone Santini ha trovato la quadra, e senza assottigliarsi il vino ha trovato più equilibrio nella salinità e nella rilevanza dell’acidità, né il taglio di Chardonnay ne standardizza l’espressione del frutto.

Montenidoli, Vernaccia di San Gimignano 2017 Tradizionale: l’eccezione che conferma la regola (dell’annata). A parte la complessità aromatica (pesca matura, fiori di ginestra, erba secca, note ammandorlate) di un naso comunque con qualche segno di riduzione, quello che incanta è la freschezza, che rilancia il vino da centro bocca su toni relativamente evoluti di miele e ancora di pesca. Il finale gradevolmente amaricante resetta il palato e invita a un altro sorso.

San Donato, Vernaccia di San Gimignano Riserva 2016 Benedetta: i vini di San Donato non hanno ma difettato di pienezza e di opulenza, al costo talvolta, di una precoce evoluzione ossidativa, se non altro all’olfatto. Ma qui ad un naso che si sfuma con l’ossigenazione su riconoscimenti floreali, balsamici e di ananas, corrisponde una bocca reattiva e sapida, con appunto la salinità che allunga e alleggerisce la beva. A parere di chi Vi scrive, la migliore versione di sempre.

Panizzi, Vernaccia di San Gimignano 2017 Vigna Santa Margherita: altro notevole conseguimento dell’annata 2017 che smentisce quanto da me scritto poco sopra… La presenza del legno ancora si fa sentire, ma non copre la coesistenza all’olfatto di toni di frutta gialla matura e agrumi ed erba appena tagliata. Palato avvolgente, teso, saporito, non ancora aperto aromaticamente al 100%, ma già rilancia da centro bocca fragranti riconoscimenti floreali.

Il Colombaio di Santa Chiara, Vernaccia di San Gimignano 2018 Selvabianca: i fratelli Logi non sbagliano un colpo. Nell’ammirevole costanza qualitativa delle etichette presentate, ci piace ricordare la Selvabianca, goduriosa interpretazione di una Vernaccia “base”, dal naso esplosivo di pesca e fiori bianchi, e dal sorso “finto semplice”, accattivante, equilibrato e persistente.

Fattoria Poggio Alloro, Vernaccia di San Gimignano 2018 Il Nicchiaio: esempio di una Vernaccia annata già compiuta, aperta aromaticamente su una bella fragranza di fiori di limone ed erbe aromatiche, e slanciata in bocca da una rinvigorente freschezza. Se questa sostanziale immediata piacevolezza implichi una non grande longevità solo il tempo potrà dirlo, ma certo è che adesso il sorso è piacevole assai.

Poderi Arcangelo, Vernaccia di San Gimignano 2018 Terra del Lago: l’esatto opposto della precedente, ovvero un vino che dà l’impressione di doversi aprire completamente, e che valga la pena di attenderlo. Il naso si esprime per adesso con curiose note “uvose” più che vinose, e con un che di mela golden leggermente appassita (ma non spiacevole), di cui forse è responsabile la percentuale di Chardonnay presente in uvaggio. Il palato è avvolgente, saporito, fresco, ottimamente equilibrato; la presente relativa chiusura aromatica verosimilmente passerà col tempo.

San Quirico, Vernaccia di San Gimignano 2018: consueto impianto per i vini di San Quirico, sapidi, verticali, profondi, non del tutto aperti in gioventù ma in grado di ripagare chi li sa attendere. Qui l’olfatto per adesso fa capolino con fiori di limone e toni salmastri; il sorso è tutt’altro che magro, l’acidità spinge, c’è già allungo da centro bocca con riconoscimenti floreali e (al momento) di pasticceria. Si può credere che il tempo distenderà il frutto.

Riccardo Margheri