In una tavola rotonda i produttori del Consorzio s’interrogano sul futuro della denominazione

Nata nel 1996 la DOC Trasimeno interessa le colline che circondano lo specchio d’acqua più grande del centro-Italia. La vocazione della zona, così come di larga parte dell’Umbria, è indubbia. Ciò nonostante la storia della viticoltura di qualità di queste terre e’ fatto recente; quando da serbatoio di vino a buon prezzo  per la vicina Toscana molti piccoli produttori si sono riconvertiti in cantine organizzate per l’imbottigliamento in proprio. Il boom della viticoltura umbra risale alla fine degli anni ’90, decennio a cui risalgono un cospicuo numero di ettari vitati. All’epoca particolare successo lo ottennero  le varietà internazionali, merlot in primis, interpretate ai massimi livelli d’estrazione e d’affinamento in legno piccolo. La scelta sul lungo periodo non è stata però vincente vista l’odierna tendenza del mercato che privilegia le varietà autoctone ed una sempre maggior eleganza nei vini. A ciò va aggiunto un andamento climatico che nell’ultimo decennio non si e’ rivelato quasi mai consono al merlot.

 

Di clima e di futuro della denominazione si e’ parlato nella tavola rotonda che domenica 20 Ottobre nelle sale del Palazzo Ducale dei Della Corgna a Castiglione del Lago ha messo di fronte tecnici, produttori e stampa. La prima parte e’ stata dedicata alla relazione del Prof. Palliotti dell’Università di Perugia sull’aumento delle temperature medie registrato negli ultimi decenni. Un report volutamente coinciso ma efficace, anche circa le possibili vie per poter mitigare con pratiche agronomiche il paradigma di un’alta concentrazione zuccherina delle uve in rapporto ad una bassa acidità ed a polifenoli quasi mai di giusta maturazione.

 

A seguire la degustazione in ceca di una dozzina di rossi delle aziende del Trasimeno. Il quadro che emerge è, pur in un contesto di buona qualità generale, di una marcata disomogeneità in seno alla tipologia. Si faticava infatti non poco a trovare punti in comune tra i vini degustati, elemento su cui riflettere per una miglior identificazione del territorio.

Gli spunti su cui lavorare però non mancano. In primo luogo un microclima unico, generato dall’azione del lago, che sicuramente può funzionare come “marcatore” del vino. Il secondo, la presenza di diverse varietà autoctone, ben acclimatate nel territorio, su cui puntare per una lenta, ma a nostro giudizio inesorabile, riconversione dell’esagerata “merlotizzazione” del territorio, vitigno qui spesso piantato a sproposito in situazioni, climatiche e di terreno, non congeniali.

Le varietà  da cui partire per affermare il territorio sono a nostro parere (oltre al grechetto) il gamay perugino, ovvero un cannonau qui presente da epoca lontana, e l’intramontabile sangiovese (quanti sangiovese fronte-lago conoscete?). E chissà che non ne venga fuori, quale portabandiera della Doc Trasimeno, un rosso fragrante e leggero; la giusta bottiglia per accompagnare le saporite preparazioni a base di pesce di lago quale un luccio o una carpa regina in porchetta. I produttori, dicono, ci stanno già pensando. Noi fiduciosi restiamo in golosa attesa.

 

Daniele Bartolozzi