La sedicesima edizione del Cous Cous fest a San Vito Lo Capo è terminata. Sono stati sei giorni di festa, dove il cous cous ha rappresentato una suprema forma di sintesi tra le varie culture, simbolo di fusione, fantasia e incontro

Di strada ne ha fatta, considerando che agli albori nacque come evento tutto sanvitese, dove ogni ristorante di San Vito, presentava in piazza, la propria interpretazione del Cous Cous trapanese, cioè a base di pesce.

Oggi, grazie alla lungimiranza degli abitanti di questo piccolo angolo di paradiso, si presenta come una manifestazione internazionale alla quale, quest’anno, hanno partecipato nove paesi: Costa d’Avorio, Egitto, Israele, Italia, Marocco, Palestina, Senegal, Tunisia e Stati Uniti in una sorta di Ecumenismo gastronomico.

L’atmosfera è stata emozionante, quella di una grande festa. Sulla spiaggia bianchissima è stata allestita una tenda araba, dove, per dieci euro si potevano degustare su comodi divani: una generosa porzione di cous cous, in variegate interpretazioni, un dolce e bere un bicchiere di vino, preceduti da copioso Aperol Spritz (Aperol era uno degli sponsor, insieme a Bia, azienda ferrarese, produttrice di cous cous, Electrolux e Conad)

La complessità ritmica, della musica nordafricana di intrattenimento, faceva venire voglia di gettarsi in forsennate danze del ventre, non fosse stato per il sole allo Zenit e la pantagruelica porzione di cous cous” bollente che predisponeva più alla meditazione trascendentale, che al pericoloso scuotimento addominale.

In altra sede si svolgevano le competizioni e le tavole rotonde (nelle quali era sempre previsto, oltre all’arricchimento della mente, la gratificazione del palato), presiedute sia da una giuria tecnica, composta da giornalisti, blogger e chef stellati, ma soprattutto da una nutrita rappresentanza di giuria popolare (circa un centinaio di presenze alla volta), che con caparbietà e notevole impegno fisico, sopportavano stoicamente, per assicurarsi la partecipazione, file interminabili, senza spazi, sotto l’immancabile sole cocente.

Le due giurie si sono divise, al momento della scelta finale, la giuria tecnica ha scelto il cous cous israeliano, denominato Harmony, costituito da una purea cremosa di ceci con burro di lavanda e pesce locale, coperto di sognante crema di melanzana affumicata e pioggerellina di cocco, succo di limone e una nuvola bianca sopra (degli chef di Gerusalemme: Boaz Cohen e Ronny Basson), mentre la giuria popolare ha prediletto la versione italiana, un cous cous di sarpe su vellutata di “aranci di mare”, fritto di capone e melanzana verde, profumata al croccante d’aglio rosso di Nubbia (di Emanuele Russo e Antonella Pace).

All’interno della manifestazione, non solo chef professionisti, ma anche dilettanti, che hanno partecipato mettendosi in gioco proponendo le loro ricette, durante la sfida “Bia chef Moy”. Davide Vigneri si è guadagnato la vittoria con la sua ricetta di “Cous cous multikulti”.

L’ultima conferenza affrontava il ruolo del cous cous nelle religioni monoteiste, con la partecipazione di Kheit Abdelhafid Imam della Moschea di Catania, presidente della comunità islamica Sicilia, Monsignor Mogavero, quale Vescovo Delegato per le migrazioni della conferenza episcopale siciliana e l’esperta di cultura ebraica la professoressa Luciana Pepi. Non ci volevo credere, anche in quell’occasione il serpentone di coraggiosi si estendeva anche al di fuori della tenda parasole. Il suddetto serpentone mi ha rimbalzata inesorabilmente, verso la spiaggia, senza possibilità di appello. Ho ceduto e ho fatto un bagno corroborante, in un’acqua maldiviana.

Lungo il corso principale e le stradine del centro, si estendeva un variopinto mercato, piuttosto eterogeneo, ricco di manufatti artigianali e prelibatezze di vario genere, aperto dalle 12 alle 24. Ogni sera un concerto diverso: “Beirut World Beat Featuring con Roberto Gagliardi”, De Gregori, Max Gazzé, i “Sud Sound System”, Iotatola e Malmaritate. La piazza era gremita, al punto che pensavo che il selciato potesse sprofondare sotto i nostri piedi.

Filippo La Mantia, volto nuovo del programma “The Chef” su La 5, ha proposto la sua ricetta solidale,  devolvendo il ricavato all’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere.

Musica, ritmo, colori, contaminazioni, scambio, in un’oasi senza pregiudizi, dove hanno vinto il rispetto, la voglia di conoscersi, di condividere e fissare un sentimento comune dal quale ricominciare.

Alessandra Rachini