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Ciliegiolo – Un vitigno alla ricerca di identità. Considerazioni generali

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Estate. Aumenta la temperatura. Inizi a goderti cene con gli amici in riva al mare e, in mezzo a tanti vini bianchi pronta alla bisogna, ti viene voglia di bere un vino rosso

Estate. Aumenta la temperatura. Inizi a goderti cene con gli amici in riva al mare e, in mezzo a tanti vini bianchi pronta alla bisogna, ti viene voglia di bere un vino rosso. Certo una delle prime opzioni che ti viene alla mente è un Ciliegiolo. Ma quale? E che tipo di vino aspettarsi?

L’associazione dei produttori del Ciliegiolo di Narni, guidata da Leonardo Bussoletti (www.leonardobussoletti.it), ha organizzato per il secondo anno un evento entusiasticamente intitolato Ciliegiolo d’Italia. Oculata la data, il 14 e 15 maggio scorsi (non a caso all’inizio dell’estate…). Impeccabile l’organizzazione, con l’indispensabile collaborazione (in rigoroso ordine alfabetico) di Davide Bonucci dell’Enoclub Siena, la giornalista e blogger Marina Ciancaglini, e Roberta Perna di Studio Umami Comunicazione Enogastronomica. E tutt’altro che banale il tema: non il solito evento di degustazione, bensì l’occasione per aprire un dibattito in merito a questo vitigno, vera e propria realtà in divenire; ovvero, se il suo profilo aromatico è definito e personale, e se il successo potenziale è interessante, si può e si deve discutere ancora di definizione organolettica, stili di produzione, ecc.

Dopo una giornata di assaggi di più di 50 campioni di Ciliegiolo provenienti da una quarantina di aziende di tutta Italia, un convegno sul vitigno, e un laboratorio di degustazione di vecchie annate condotto dall’ottimo Fabio Pracchia della guida Slow Wine, ecco alcune riflessioni ed impressioni di chi Vi scrive:

1) In primis, il Ciliegiolo è un vino virtuale. Nella brochure a corredo dell’evento, le schede delle etichette proposte riportavano le rispettive produzioni, in termini di quantità di bottiglie. Il totale ammonta (soltanto!) a ca. 400.000 bt., di cui ben 120.000 sfornate dalla Cantina di Morellino di Scansano www.cantinadelmorellino.it. E’ molto meno della produzione di una denominazione di origine anche piccola. Ovvero, il Ciliegiolo rimane una curiosità da amatori appassionati di vini dalla forte identità, ma prima che divenga the brand new thing del mercato, la sua disponibilità, utopisticamente, dovrebbe essere ben maggiore.

2) Pure, il vitigno non manca di interesse. In tempi di global warming e di estremizzazione degli andamenti climatici delle vendemmie, il ciliegiolo non smarrisce la propria fragranza aromatica con l’innalzamento delle temperature, evidenziando la parte fruttata varietale che gli dà il nome pur conservando un carattere pepato affatto particolare. La gradazione alcolica può spingersi a livelli troppo elevati, ma vi si può porre rimedio con riduzioni mirate della parete fogliare, effettuate in specifici momenti del ciclo vegetativo. Questi interventi riducono peraltro anche i rischi di un eventuale eccesso di umidità (con relativa proliferazione delle malattie fungine). In sintesi, i risultati agronomici (e, in ultimo) gustativi sono suscettibili di sostanziali miglioramenti a mezzo di una viticoltura innovativa, ma nemmeno particolarmente complicata da mettere in pratica. Non a caso all’interessante seminario tenuto dal prof. Palliotti dell’Univ. di Perugia hanno presenziato più o meno tutti i produttori che hanno aderito alla manifestazione.

3) Già da qualche anno, le produzioni di Leonardo Bussoletti hanno gettato il sasso nello stagno, prescindendo dalla consueta immagine del ciliegiolo fresco, fruttato e beverino, e facendo balenare la possibilità di pienezza gustativa, potenziale di evoluzione e complessità aromatica. Le aziende si sono trovate improvvisamente di fronte a un bivio, se continuare sulla via consueta della immediata fruibilità del vitigno o aspirare a qualcosa di più e di diverso. Un dubbio forse però solo apparente: si noti che il ciliegiolo è particolarmente sensibile alle minime variazioni del terroir di produzione (gli assaggi lo dimostrano), e in certi suoli ed esposizioni conseguire il superiore equilibrio di maturazione tra zuccheri, acidità e polifenoli per attingere a livelli superiori di profondità gustativa è quanto meno problematico. Il produttore dovrebbe cioè saper interpretare le specificità del proprio vigneto (età delle viti compresa) ed agire di conseguenza: ciò è ovviamente vero in generale, ma il ciliegiolo mostra un’ipertrofica reattività a queste problematiche.

4) Si è parlato di potenziale di evoluzione: il seminario sulle vecchie annate cui ho assistito era particolarmente stimolante in merito. Commovente la tenuta del Sanlorenzo di Sassotondo (www.sassotondo.it) della torrida annata 2003, e impressionante il Poggio Ciliegio 2001 di Rascioni & Cecconello (www.poggiociliegio.it), peraltro già ampiamente celebrato all’epoca della sua uscita. Ma erano forse le eccezioni che confermavano la regola: altri campioni presentati mostravano qualche deriva ossidativa, e la perdita della fragranza varietale non sempre era adeguatamente sostituita da un maggiore complessità.

4) In sintesi, nella misura in cui è lecito azzardare un giudizio dopo una singola tornata di assaggi, per quanto piuttosto esaustiva: legittima l’aspirazione al Ciliegiolo “da invecchiamento”, senza che si debba necessariamente puntare a una improbabile (con le dovute eccezioni) vita più che decennale. Già qualche anno di evoluzione, nei casi virtuosi, può smussarne le asperità della gioventù e guadagnare in termini di complessità aromatica. Meglio, per molti, focalizzarsi sull’esaltazione dell’inconfondibile carattere varietale: notevole l’interesse di alcuni vini destinati alla pronta beva, per quanto penalizzati dai recenti imbottigliamenti, mentre altri mostravano qualche difetto in termini di mera grammatica enologica.

Ad un successivo articolo per il report degli assaggi.

Riccardo Margheri