Scrivere di Chianti Classico è sempre un compito cui il Vostro cronista si accinge con un po’ di patema: trattasi di denominazione cui mi legano stretti rapporti di lavoro e al contempo incondizionato trasporto sentimentale. Mi pongo il problema di rimanere obiettivo, e nel frattempo mi compiaccio di non esserlo. Già in molti, sul web e sulla stampa cartacea, si sono espressi sul recente evento istituzionale di presentazione delle nuove annate (una festa: estenuante, ma una festa rimane).

Il sottoscritto non si azzarderà a indicare una lista dei migliori assaggi, in quanto la quantità di campioni proposti quest’anno era veramente rilevante, e nella materiale impossibilità di degustare tutto più di una bottiglia di assoluto rilievo mi sarà certamente sfuggita. Ritengo invece di essere in grado di tentare un’interpretazione dei millesimi in assaggio, uno sguardo nella sfera di cristallo per ciò che già è, e ancora di più nel futuro sarà.

Chianti Classico Collection 2019

In generale, mi sento in dovere di ribadire come la qualità diffusa sia ottima, forse come non mai prima: lo denota, se non altro, la capacità di interpretare annate le più diverse da parte di produttori sparsi per tutto il territorio di una denominazione grande e quanto mai articolata al suo interno. In effetti, sfido qualunque territorio vinicolo MONDIALE a essere capace di produrre sistematicamente vini così BUONI: stili diversi possono piacere di più o di meno, si possono preferire etichette più piene o più “scorrevoli”, ma di lì ad arrivare a dire che un campione non è gradito ce ne passa. E su un tale numero di aziende e di vini non è un risultato da poco.

Le tipologie

E veniamo alle tre tipologie, Annata, Riserva e Gran Selezione, divise per millesimo.

Il ventilato problema dell’annata 2017, con le sue temperature assurde, la mancanza di escursione termica e soprattutto la siccità, mi sembra sia stato brillantemente risolto, qui come a Montalcino (anche meglio in verità). Si temevano tannini aggressivi, quando per lo più risultano estratti con molto criterio, nemmeno (altro possibile rischio) a scapito della perdita di acidità (leggi: possibili scelte vendemmiali tardive per conseguire una migliore maturazione fenolica, con conseguente ridotta freschezza). Ovvio che non difetti la componente fruttata, meno surmatura di quanto era lecito attendersi.

Che il millesimo sia stato problematico in realtà lo si evince dalla carenza di articolazione aromatica: la maturità di ciliegia e fragola prorompe ma rimane tale, senza sfumarsi in una superiore complessità. Anche la sapidità è un poco al di sotto del normale, spia distintiva della difficoltà di conseguire una piena maturazione. Ciò detto si tratta comunque di vini succosi, accattivanti, piuttosto ben bilanciati, facili da bere per immediatezza fruttata ed estrazione prudente: in una parola, ben fatti, nel senso dello sfruttamento intelligente di quanto l’annata metteva a disposizione; e sarebbe potuto andare molto peggio…

Il riassaggio dei Chianti Classico 2016 mi ha dato le conferme che in realtà non cercavo, poiché non ne avevo bisogno. Come Pallade Atena nacque già adulta e armata dalla testa di Zeus, così questi 2016 godono di quella nervosità preludio a una grande longevità, ma contemporaneamente di un equilibrio e di una compiutezza nella trama tannica che sono già TERRIBILMENTE godibili sin da subito.

Un po’ più scontrose al momento le coeve Riserve: la circostanza si spiega con il fatto che l’andamento estremamente costante del millesimo ha consentito una permanenza in pianta prolungata, ergo una raccolta ritardata, quindi la piena maturità fenolica (senza rinunciare all’acidità), quindi l’opportunità per gli enologi di indulgere in estrazioni importanti. Pertanto i vini hanno struttura, e al momento per forza di cose non possono dispiegare pienamente il loro potenziale aromatico: devono essere attesi, ma il futuro appare quanto mai luminoso.

E veniamo alla dibattuta Gran Selezione, tuttora vista come il fumo negli occhi da molti, anche se il fatto che sempre più aziende, anche di piccole dimensioni, ne abbiano comunque una in catalogo qualcosa vorrà pur dire. E’ opinione del sottoscritto che questa tipologia di Chianti Classico sia sempre meglio focalizzata nella mente dei produttori, nel senso che inizialmente si è pensato (e ora per fortuna non più) che per distinguersi dalla Riserva fosse imprescindibile scolpire un vino più “grosso”, più strutturato, (specie) più tannico, certamente pertanto più monolitico e reticente nella sua espressione.

A fronte di un millesimo 2015 a rischio di derive di eccesso di opulenza ed estratto (come per esempio è a volte avvenuto in Langa), i Gran Selezione sono invece più stilizzati e rifiniti, levigati nel tannino, saporiti, in una parola (chi l’avrebbe detto?) più eleganti e territoriali. Quella corsa alla pienezza che aveva condizionato le prime annate di questa tipologia per fortuna è già memoria. La compiutezza delle etichette in assaggio piuttosto spinge verso una sempre maggiore caratterizzazione del Chianti Classico a livello di terroir.

Si può discutere se il disciplinare sia adeguato ad incentivare una corrispondenza sempre più stretta tra le caratteristiche organolettiche dei vini e quelle pedo-climatiche del luogo ove le uve sono prodotte; se esso penalizzi o meno i piccoli produttori; se non sia tempo di gettare il cuore oltre l’ostacolo e limitare la Gran Selezione all’areale di un singolo comune e/o al Sangiovese in purezza; ma l’esigenza e l’anelito a una maggiore “unicità” non sono più in discussione.

Come detto, il Chianti Classico è denominazione grande, ma ciò non significa che esso non rischi l’omologazione, anche più di altri comprensori di più ridotte dimensioni. L’estensione pone come un dovere l’esplorazione delle differenze, strumento anche di marketing per non perdersi nel mare magnumdella produzione vinicola mondiale, e per garantire quel valore aggiunto che gli sforzi di viticoltori e produttori di qualsivoglia orientamento e capacità produttiva ben meritano.

Sempre più in una bottiglia di questi Sangiovese irripetibili si va alla ricerca dell’emozione, e si confida di evitare la banalità. L’auspicio è che tutti coloro che in modi diversi vogliono e possono lavorare per il futuro del Chianti Classico superino le divisioni e si uniscano per un futuro migliore.

Riccardo Margheri