Sicuramente una festa ma anche un banco d’assaggio di un certo spessore l’evento dedicato ai vini rosati da Cucina & Vini

Sicuramente una festa ma anche un banco d’assaggio di un certo spessore, queste le caratteristiche di BereRosa 2016, l’evento dedicato ai vini rosati da Cucina & Vini, tenutosi negli spazi del lussuoso Palazzo Brancaccio di Roma martedì 5 luglio. L’evento ha avuto un’apertura riservata alla stampa nel primo pomeriggio, poi dalle 17 libero ingresso sebbene la maggior parte delle visite – considerando il giorno feriale – si sono concentrate nella serata, quando l’appuntamento è diventato anche una sorta di mega aperitivo a cielo aperto vista la frescura del giardino privato del Palazzo. Ottima l’organizzazione, preparati e disponibili i sommelier Fisar  ai banchi e grandi eccellenze gastronomiche per accompagnare la degustazione.

Presenti tutti i territori maggiormente vocati, ma non sono mancate le sorprese, per una batteria di assaggi dove a fare la parte del leone erano le bollicine. Peccato per l’assenza di regioni con storiche produzioni di rosati, Calabria in primis ma anche Sicilia, mentre grande spazio se l’è conquistato la Lombardia, spinta in particolare dal Franciacorta, che ha occupato una sala intera delle 4 (anche se di dimensioni differenti) nelle quali erano distribuite le aziende.

Il panorama dei rosati italiani emerso nella serata è confortante, sebbene si faccia ancora fatica nell’imporre la tipologia come prodotto a sé stante, ovvero come vino fermo, mentre sembra più facile da proporre quando è accompagnata da bollicine. Vero che il Pinot Nero, alla base di quasi tutti gli spumanti rosati presenti, offre grandissime sensazioni in questa versione, ma non dimentichiamo che anche molti altri vitigni sanno esprimersi al meglio, se lavorati bene, a scarso contatto con le bucce. Oltre ai notissimi rosati pugliesi da Negramaro, o ai Cerasuolo d’Abruzzo, belle cose le hanno fatte vedere anche in Campania con vitigni autoctoni, come nel caso dell’azienda San Salvatore con il Vetere (100% Aglianico) e della viticoltura spericolata di Marisa Cuomo con il Costa d’Amalfi (50% Piedirosso e 50% Aglianico).
In questo senso rimane invecefine da capire se la scelta puramente commerciale non rischi di fare solo danni alla categoria. Ferma restando infatti la libertà di impresa, sono sembrati leggermente fuori contesto, oltre che poco convincenti da un punto di vista espressivo, alcuni assaggi come la bottiglia in stile floreale di Valdo o le etichette “Fashion Victim” di Astoria.

Fabio Ciarla