Incontriamo l’agronoma Gabriella Puzzovio

Gabriella Puzzovio è un’agronoma che sa tenere assieme concretezza nella risoluzione dei problemi sul campo, profondità scientifica e complessità culturale-teorica. Laureata a Bologna, con specializzazione in viticoltura ed enologia, studi ed esperienze in Francia, all’Università di Montpellier e nella Charente; dal 2011 collabora con la Cantina Coppola di Gallipoli. La incontriamo per farci raccontare il suo lavoro e questo territorio nel magnifico vigneto storico Li Cuti, affacciato sul golfo meridionale di Gallipoli, nel Salento più bello e luminoso, coltivato a vite dalla Famiglia Coppola fin dal 1489, come confermano documenti d’archivio.

 

«La Cantina Coppola lavora in qualità, vuole raggiungere la qualità massima nei vini e quindi anche le uve devono essere di altissima qualità, senza sovrapproduzione, con una resa per ceppo controllata. Con questa filosofia – ci spiega la dottoressa Puzzovio – è importante che la parte viticolo-agronomica sia curata con tecniche pensate e mirate, come ad esempio il sovescio accompagnato dall’utilizzo di microrganismi, in modo che la pianta abbia meno necessità di apporti chimici esterni, un lavoro attento di potatura secca e una corretta e puntuale gestione della potatura verde. In ogni fase lavoriamo molto di prevenzione, stando molto in campagna, consideriamo di volta in volta se un intervento – di concimazione, fitoiatrico, lavorazione del terreno – è necessario o meno. Interveniamo solo se il raccolto può essere compromesso. Non si può avere il tutto, il certo e il subito, la natura è complessa e complessa dev’essere anche la pratica agronomica».

 

Si insiste molto sull’importanza del vigneto e del terroir per produrre vini eccelsi.

«Su questo non ci sono dubbi. Noi, al di là delle certificazioni, lavoriamo con la cognizione della relazione tra terreno, pianta e clima, accompagnando questa relazione. L’intervento chimico convenzionale è solo uno starter, un aiuto – se necessario e non un elemento per ottenere più produzione. È stato facile lavorare con questo metodo perché Carlo Coppola e il figlio Giuseppe, oltre alla formazione agronomica, hanno passione per la terra, non dirigono l’azienda da dietro la scrivania, ma ci mettono le mani. Questo fa la differenza. La fa assieme all’attenzione e alla sensibilità verso la propria terra. Il signor Carlo, a ottantaquattro anni, è un vero maestro di sensibilità: ha impostato i vigneti – che sono situati in luoghi di grande bellezza – come fossero dei giardini, con zone coltivate a oliveto, con filari di meli cotogni (ovviamente non una pianta a caso, ma un simbolo del territorio) e altre piante che arricchiscono la biodiversità e l’estetica del paesaggio. ’Rapportarsi alla terra’, ‘il buon vino è fatto in vigna’, qui non sono solo parole a effetto marketing, come purtroppo spesso accade».

 

A conferma ricordiamo che i vini della cantina Coppola – solo per rimanere all’ultimo anno – hanno ricevuto importanti riconoscimenti (Concorso Nazionale Rosati d’Italia, Concorso Internazionale dei Vini da Pesce, Premio Douja D’Or, il Doxi Alezio Doc inserito i Top Hundred (i Migliori 100 Vini d’Italia), il Premio Dolce Puglia al Tafuri…)

«Penso che facciano parlare il terroir. Oggi è più facile avere un approccio biologicamente corretto perché molte operazioni che prima avevano solo un riscontro esperenziale ora hanno anche delle spiegazioni scientifiche. La tecnologia ci aiuta a riprendere determinate consuetudini di un tempo, non è un ritorno al passato ma una concezione che valorizza alcune pratiche con tecnologie e visioni innovative. All’inizio è stato il signor Carlo ad accompagnarmi nei vigneti, a mostrarmi il lavoro impostato nel corso del tempo, a raccontarmi la storia. Ogni singolo appezzamento ha un suo perché, una progettazione razionale, funzionale, estetica, un’impostazione olistica potremmo dire. Un’impostazione pensata anche in funzione del prodotto finale: i vini, che hanno così le caratteristiche varietali e del territorio. Il pensiero fondamentale del signor Carlo credo sia “stare in campagna”, conoscere le tecniche e le loro applicazioni pratiche. I nostri rispettivi bagagli di esperienze si sono confrontati e intrecciati».

 

Ci racconti i vigneti Patitari, Santo Stefano e Li Cuti, i Cru della Cantina Coppola?

«Bisogna subito dire che il territorio di Alezio, Sannicola e Gallipoli è di una bellezza unica. Ha un’armonia perfetta tra mare, coste ed entroterra agricolo. Il paesaggio è bello a livello naturalistico e storicamente molto curato dall’intervento umano. È una parte del Salento con caratteristiche storiche ed estetiche peculiari, che devono essere protette e valorizzate. Lavorare un appezzamento, un vero cru, come Li Cuti, coltivato a vigneto dal 1400, è emozionante. È anche un riconoscimento alla fatica che si fa, perché in vigneto si fatica, non dimentichiamolo. È comunque un bello stare, anche quando le giornate non sono proprio piacevoli. I rimandi a un passato, a un’estetica fanno stare bene, e stimolano a dare continuità perché il bello porta bello e il bene porta bene, e ci si sente parte, seppur atomica, di un grande disegno. Il Li Cuti racconta quindi una lunga storia di tradizione, ma  nello stesso tempo è un esempio di modernità, perché da sempre vi è coltivato lo storico vitigno negroamaro. L’impianto è relativamente giovane, allevato a cordone, l’impostazione della spalliera è regolare e adatta alla meccanizzazione totale delle operazioni. In un certo senso è un vigneto che è una cartina di tornasole del nostro lavoro. Se lavoriamo bene, lui risponde bene, ma se c’è qualcosa che non va, non possiamo imputarlo ad una sua carenza o non adattabilità, perché significa che dovremo noi cambiare qualcosa nella tecnica.

Il Patitari con il suo primitivo che ha due diverse età di vigneto, è un terreno molto particolare, a poche centinaia di metri dal mare. Il primitivo è un vitigno tra i più sensibili e delicati, qui risponde molto bene e matura in anticipo anche rispetto all’entroterra… il terreno è tendenzialmente di medio impasto con roccia già a 50cm di profondità. In passato è stata fatta una concimazione organica importantissima. Dalle analisi del terreno abbiamo trovato un alto contenuto di sostanza organica. Le attenzioni sono quelle comuni a questo vitigno. L’altro primitivo si trova a Santo Stefano nella roccia, per cui ad esempio non possiamo procedere con le lavorazioni al terreno, la concimazione è solo fogliare, si trova su un leggero pendio a 70-80m s.l.m. con un alberello molto vecchio reimpostato a cordone. Le piante sono meno vigorose, più lente nella crescita, ma resistono meglio alla siccità».

 

Non è un caso che la cura dei vigneti si trasformi in qualità dei vini, etichette come il Doxi Alezio doc, il Rocci Negroamaro vinificato in bianco, il Patitari Primitivo, il Tafuri Passito e la linea Li Cuti: Rosato, Negroamaro, Vermentino, abbiano ricevuto Premi e riconoscimenti. Ci parli dell’esperienza con il Vermentino?

«Il Vermentino presente nel vigneto Santo Stefano, quest’anno in maniera particolare, ci ha dato ottime soddisfazioni. Abbiamo deciso di cambiare allevamento da cordone speronato a guyot, i risultati qualitativi sono eccellenti. Risponde in una maniera perfetta, attualmente è il mio preferito, al momento della vendemmia era di una perfezione spettacolare! Tanto che, scherzando, ho proposto a Giuseppe di non vendemmiarlo, e lui “beh, per quest’anno fatti una fotografia!” L’irrigazione – visto che non ci interessa la quantità – è prevista solo in caso di stress idrico, infatti si conduce il vigneto in maniera da non renderla necessaria. Per aiutare la pianta ad arrivare alla maturazione con la qualità. I terreni sono sabbiosi-argillosi con un pH un po’ alto, per questo è necessario intervenire utilizzando i sovesci, con sostanze organiche e microrganismi che riescono a naturalmente a mettere a disposizione la ricchezza del terreno ha, senza usare concimi a sproposito, così aiutiamo la pianta a prendere quello che già c’è. Sono tutte operazioni che necessitano di una conoscenza approfondita delle condizioni pedoclimatiche e sono orientate  in una direzione più che biologica, e così otteniamo risultati eccellenti».

 

Conosci il lavoro dei “preparatori d’uva” Simonit e Sirch?

«Seguo da parecchi anni, anche se da lontano, l’esperienza di Simonit e Sirch, il nostro metodo ha molte similitudini al loro. Loro stessi affermano che questo approccio alla potatura è ispirato all’alberello. Proprio per permettere alla pianta di generare una struttura crescente che caratterizzerà la forma di allevamento. Per esempio, sul cordone speronato si sviluppa un fusto permanente con varie diramazioni in funzione del numero dei punti vegetativi e questi collettori si accrescono verso l’alto in maniera controllata come le branche di un alberello. In ogni caso, la preparazione dei potatori è importantissima, uno sbaglio in vigna si recupera solo dopo varie annate  e ciò che apprezzo, oltre al metodo in sé, è questa importanza e valore che, tramite questa tecnica e la scuola che ne è poi scaturita,  si dà al lavoro non improvvisato del potatore, alla volontà di permettere ad un vigneto di vivere a lungo e di curarlo bene perché si conoscono le sue esigenze e le si asseconda»

 

Ci racconti come il pensiero e le pratiche del paesaggista-filosofo Gilles Clément si travasano nel tuo lavoro? Lui sostiene anche la valorizzazione della diversità a venire contro la conservazione…

«Gilles Clément ha messo in evidenza l’evidente, ha reso visibile ciò che è intorno a noi. Una sensibilità e uno sguardo diversi ci permettono di rendere visibili le connessioni, ecco allora che le aziende e gli agronomi che lavorano con colture da reddito operano anche per il paesaggio e il territorio, per l’ambiente oltre che per l’economia, proprio perché non v’è separazione tra questi segmenti. …. Coltivare diversamente. Ad esempio, se nello sfalcio dell’oliveto lasciamo le fioriture spontanee, non è solo per una mera questione estetica, ma è anche cura del paesaggio, attenzione alla biodiversità, ciò significa unire aspetti ecologici ed economici senza avere spese ulteriori, arricchendo di complessità “ lavoriamo con e non contro” senza togliere nulla alla razionalità che ci è richiesta nella conduzione di una coltura da reddito. Il vigneto Santo Stefano è una chicca in questo senso, il viale di meli cotogni è di una bellezza da mozzafiato, in questo c’è un amore per la natura, una consapevolezza che questo arricchimento in qualche maniera creerà un osmosi con il lavoro dell’uomo e i prodotti che provengono da questo territorio; è una razionalità complessa e superiore, non riduttiva e meccanica. Il nostro appezzamento di vigneto o oliveto partecipa così “al giardino planetario” descritto da Clément, dove noi operatori, con le nostre scelte, abbiamo una responsabilità sui viventi, tutti.  A volte la “cultura” viticola così legata a un’idea di tradizione, rigore, controllo può sembrare  lontana e in contraddizione con le  parole chiave del pensiero di Clémenti come  “tempo”, “libertà”  “diversità” addirittura “indecisione”, ma invece noi li ritroviamo nel nostro lavoro quotidiano in campagna  e nel vigneto, perché sono concetti a ben guardare strettamente legati alla natura e alla conoscenza della natura».

a cura di Cantina Coppola

Tenuta di Torre Sabea, S.S. 101 km 34,500, Gallipoli (LE)

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