Nel primo bimestre 2018 il vino del Belpaese è infatti cresciuto in valore del 3,8%, contro il +3,4% dei transalpini come risulta dalla recente analisi di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor.
Un testa a testa che vede ora primeggiare il prodotto made in Italy con 243 milioni di euro e la Francia al seguito con 227 milioni di euro. “Il dato è ancora molto parziale – ha commentato il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani – ma la positiva reazione dei nostri operatori al sorpasso dello scorso anno è di buon auspicio anche per il prossimo Vinitaly (15-18 aprile), in cui il focus-Paese, a partire dall’evento inaugurale, è dedicato proprio al grande Paese americano”.
Il futuro dei mercati, i mercati del futuro
Italy first negli Stati Uniti? è infatti il titolo dell’appuntamento inaugurale che vedrà la partecipazione oltre che del direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, del vicepresidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro, del direttore dell’Agenzia Ice di New York e Coordinatore della rete Usa, Maurizio Forte, e del responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini.
Per l’occasione sarà presentata l’analisi del mercato statunitense anche con una survey dedicata a firma Vinitaly-Nomisma Wine Monitor sui modelli di consumo, i fattori chiave d’acquisto, le preferenze, la perception italiana e i trend futuri dei consumatori in 5 Stati (New York, California, Illinois, Minnesota, Winsconsin).
A determinare il controsorpasso, l’exploit dei soliti sparkling (+18,3%) a fronte del contemporaneo crollo dello champagne (-23,1%); sui fermi imbottigliati il trend italiano rimane stabile (+0,8%) mentre Parigi mette a segno un +16,6%, complici i rosé de Provence. Una performance – quella italiana – ancora più significativa se considerato il contesto non positivo della domanda statunitense nel primo bimestre, con le importazioni di vino che sono diminuite del 2,3%.
Dietro ai 2 leader, secondo le rilevazioni, rincorsa per la Nuova Zelanda (+33,9%) che tuttavia rimane lontana con un valore di quasi 4 volte inferiore a quello del Belpaese. Male l’Australia (-23,3%) e la Spagna (-5,4%)