Raboso e Pignolo

Va dove ti porta il cuore, magari con un bel calice di vino in mano (aggiungo io).

Il mio, di cuore, batte per due regioni che amo: Veneto e Friuli Venezia Giulia.

In esse affondano le mie radici; entrambe con tradizioni e zone vitivinicole d’eccellenza, legate alla memoria contadina e marinara, nelle quali troviamo territori che per  caratteristiche morfologiche e clima (colline e vicinanza al mare) sono ideali per l’allevamento della vite.

In queste zone troviamo delle vere e proprie rarità. Vitigni arrivati a noi dalla presenza degli Asburgo molto avanti nella cultura enoica.

Ne cito due non a caso. Il Raboso, porta bandiera della zona attraversata dal fiume Piave e quello definito l’araba fenice in Friuli: il Pignolo.

“Di qua, al di là dal Piave ci sta un’osteria”, recita il testo di una famosa canzone degli Alpini cantata nelle trincee della Prima Guerra Mondiale.

Canzone che rimanda alla fama secolare delle terre del fiume sacro alla Patria che solca la provincia di Treviso.

Vigne di Raboso

Raboso

In questo territorio le sabbie, ghiaie e argille bagnate da ricche falde d’acqua danno origine al Raboso. Era noto fin dall’inizio del ‘600, allevato con un particolare sistema a raggiera detto bellussera. Il colore del vino è rubino intenso che, all’olfatto, apre su profumi di frutta rossa e di bosco.

Il nome potrebbe derivare dall’espressione dialettale rabbioso. Infatti all’assaggio il vino  risulta molto acido e tannico, tanto da indurre alcuni produttori ad intraprendere la strada dell’appassimento stile “Amarone” al fine di ricavare un vino più aromatico e dalla maggiore complessità. La sua forte acidità lo rende adatto anche alla produzione di vini base per la spumantizzazione, previa vinificazione in bianco. Ad oggi lo troviamo in due Doc, Piave e Venezia e in una Docg: Malanotte.

Pignolo

Diversa la storia del friulano Pignolo, vitigno per molti anni dimenticato tanto da essere definito l’araba fenice del Friuli.

Originario della zona di Rosazzo, presente già dal 1300, venne censito nel 1859 come la maggior parte dei vitigni italiani.

Vigneti di Pignolo

Il nome deriva dalla sua somiglianza a una pigna, con grappolo piccolo e compatto, poco produttivo perché soffre di acinellatura come il picolit.

Agli inizi del ‘900 ha rischiato di sparire. Fu Guido Poggi, famoso enologo, ad accorgersi delle ottime qualità intrinseche di questo vitigno.

Il ritrovamento di 2 vecchi ceppi nell’orto dell’Abazia di Rosazzo segnò la rinascita dell’allevamento e l’inizio della nuova produzione del Pignolo.

Vino di longevità infinita, rubino scuro, tannino ruvido, austero, con complessità gustativa unica, dotato anche di buona acidità, dopo un obbligatorio passaggio in legno e lungo affinamento, esprime note eleganti di prugna e viola, cacao, caffè, spezie, mora di gelso, cuoio e vaniglia.

Raboso e Pignolo, rustico e scontroso il primo, straordinariamente particolare e nobile il secondo, rispecchiano territori e genti di quelle zone poste a nord-est; confine e ponte tra culture diverse.

Là dove  mi porta il cuore con un bel calice di vino in mano.

Elisa Paolini