La nota dell’Italian Wine & Food Institute

La recente fusione fra due noti importatori di vini italiani, sulla quale la stampa settoriale italiana ha ampiamente riferito, ha riportato in primo piano il problema della progressiva diminuzione nel numero degli importatori che da alcuni anni si verifica sul mercato statunitense, secondo quanto riferito oggi dall’Italian Wine & Food Institute.

 

La crisi economica da una parte, che ha reso sempre più difficile la sopravvivenza delle piccole aziende, e le esigenze del mercato, che richiede aziende di sempre maggiori dimensioni con adeguate disponibilità finanziarie dall’altra, hanno provocato l’uscita dal mercato delle aziende importatrici più piccole e la fusione di quelle di medie dimensioni spinte ad unirsi per poter meglio affrontare le esigenze di un mercato complesso quale quello degli Stati Uniti.

 

La ristrutturazione in corso, con la scomparsa dei piccoli importatori strumentali nell’introduzione di nuovi vini,  sta acquistando notevole rilevanza date le conseguenze che comporta, secondo il presidente dell’IWFI, Lucio Caputo, per il gran numero di aziende italiane che desiderano esportare verso gli Stati Uniti.

 

Le aziende importatrici, specie quelle che emergono da fusioni e/o acquisizioni, si vengono a trovare infatti con dei portafogli vini di notevoli dimensioni che, nella maggior parte dei casi, sono sproporzionate per eccesso alle esigenze del mercato. Ne deriva che queste aziende importatrici sono costrette a cancellare o a congelare i rapporti con quelle aziende italiane i cui prodotti hanno minori possibilità sul mercato USA e a non avere alcun interesse ad acquisire altri produttori.

 

Il problema è poi reso più complesso dal fatto che le aziende importatrici hanno molto più interesse a spingere quelle aziende e quei vini che incontrano il favore del mercato concentrando su questi tutte le risorse disponibili e sempre meno interesse ad introdurre nuovi prodotti il cui lancio e la cui introduzione sul mercato comporta notevoli costi che difficilmente potranno essere recuperati.

 

Risulta infatti più facile, meno costoso e più redditizio puntare all’aumento delle vendite di quei vini che già si vendono in un considerevole volume, che sono sufficientemente conosciuti e per i quali esiste una domanda da parte dei consumatori.

 

Questa situazione porta a limitare sempre più il numero delle case vinicole presenti sul mercato statunitense privilegiando quelle case che, negli anni, investendo sul proprio marchio lo hanno fatto conoscere ad un largo segmento di consumatori locali e che sono riuscite a presentare vini di qualità a costi contenuti investendo in attività promozionali a favore della propria produzione e che hanno sostenuto ed incoraggiato i propri importatori.

 

In questa difficile fase di transizione occorre, secondo Caputo, prestare la massima attenzione al mercato statunitense, che è di primaria importanza, e che gli Enti  preposti sostengano le esportazioni italiane con azioni promozionali di largo respiro che contribuiscano a far meglio conoscere i vini italiani, ad ampliare la domanda per la produzione italiana e ad ulteriormente migliorarne l’immagine.

 

E’ da evitare invece, nel modo più assoluto, che si ricorra ad attività tendenti ad introdurre nuove aziende, senza aver prima ampliato la domanda, che finirebbero per creare azioni di disturbo, provocando una indebita concorrenza fra le aziende italiane che finirebbe con il danneggiare l’intero settore.