Nel 2016, Carlo Cracco non poteva non premiarla con il titolo (meritato) di Ambasciatrice del Gusto

Evoluzione di una passione divenuta un irrefrenabile amore per i fornelli, che cambia naturalmente i tratti e le sfumature di una professione. Così potrei dire di Lucia Tellone, della sua cucina autobiografica e identitaria, una cucina che ne descrive, come un album di famiglia, il percorso. E con esso, il trepidio sottile, l’emozione e, a volte, il timore di guardarsi alle spalle per rivedersi con occhio critico.

Cedendo alla curiosità iniziale, si apre così quella collezione di ricordi che dalla nascita narra, a mo’ di pellicola, vittorie e insuccessi, paure e grinta; sbiaditi colori o tonalità più vivide… I piatti della giovane Lucia (classe 1984) sembrano animare le istantanee della sua vita, attimi inconsciamente accantonati ma che – di fatto – restano sopiti in un angolo di mente e di cuore.

Nelle sue preparazioni, infatti, si ritrova l’Olaf che (forse) vive in lei mentre gioca tra i campi di famiglia, nell’entroterra abruzzese; si avverte il profumo della solina, il sapore netto delle erbe spontanee e della loro mutevolezza.

E in questi piatti, non si fatica a ritrovare la Lucia “bambina”, innamorata delle cuoche di casa; non si tarda a immaginarla tra acqua e farina dietro la madre e la nonna, oppure tra i pascoli del nonno che adorava accompagnare tra le impervie, ma selvaggiamente affascinanti, gole della Maiella.

E poi, quella fanciulla cresce, costretta ad abbandonare fisicamente – ma mai con lo spirito – la sua “terra”, per partire alla ricerca di stimoli nuovi: Calabria, Veneto (presso il Ristorante La Colomba di Venezia) e un anno in Lombardia presso il ristorante di Enrico Bartolini (due stelle Michelin). Ne nascono ricette evocative di quel distacco piacevolmente malinconico, ma mai triste; ricette nelle quali la materia prima d’Abruzzo resta la protagonista, valorizzata appieno dalla pregevole mano di Lucia.

Continua, caparbia e non senza affanni, il suo peregrinare tra Norvegia (Maaemo, di Oslo, “3 stelle Michelin”) dove apprendere l’arte di valorizzare al massimo anche il più semplice ingrediente, Madonna di Campiglio e Stoccolma (Frantzen, “3 stelle Michelin”).

Nel 2016, Carlo Cracco non poteva non premiarla con il titolo (meritato) di Ambasciatrice del Gusto, a rimarcarne l’indole di conoscitrice e custode di profondi valori.

La sua cucina, pertanto, è lo specchio del suo essere; una cucina che permette di comprendere l’essenza dell’arte culinaria e il suo carattere; i piatti assumono così un doppio significato, di consapevolezza ed evidenza empirica, di tecnica e pathos; piatti che richiamano alla mente immagini di una storia in itinere, il profumo della terra natia, i saperi acquisiti grazie allo studio continuo e ai numerosi viaggi. Gli stessi che oggi le consentono di apporre una firma, orgogliosamente femminile e abruzzese, ai fornelli di Villa La Bianca Relais de Charme a Camaiore, un luogo dove l’alchimia della cucina si realizzerà a breve.

E, in questo progetto di prossima apertura, le radici abruzzesi si fonderanno armonicamente con la valorizzazione di quel bellissimo lembo di Toscana.

Manuela Mancino