Le ricette narrano storie di vita vissuta, incontri e dialoghi con grandi interpreti dell’enogastronomia

L’evocazione di un territorio, l’evocazione di una passione, l’evocazione di un percorso: è questo il ricordo con il quale ci si congeda dalla Fattoria Delle Torri, consapevoli di aver “assaporato” il pensiero e l’animo di Peppe Barone. Senza leggerne la biografia, ma soffermandosi sull’osservazione dei piatti e abbandonandosi ai profumi e ai sapori di ciascun boccone, si ha la sensazione di rivivere assieme allo chef la sua evoluzione, di ritrovare il suo attaccamento alla terra di origine, nella quale affonda saldamente le proprie radici. E da queste, pare prender vita a mo’ di tronco un timido primo “affaccio” verso il mondo circostante, e di lì i rami che, nutriti da una curiosità quasi insaziabile, si allungano verso continui stimoli, confronti con tradizioni e culture differenti.

Le ricette narrano, dunque, storie di vita vissuta, incontri e dialoghi con grandi interpreti dell’enogastronomia (Franco Ruta, Luigi Veronelli, Corrado e Carlo Assenza), dando altresì spazio a quella inequivocabile quotidianità della campagna siciliana. A tavola, pare quasi di intravedere quel patrimonio immateriale lasciato in eredità dalle personalità che hanno segnato la storia di Peppe: Sarina, la raccoglitrice di capperi, massaro Abbate con le sue fave cottoie; sembra quasi di sentire in lontananza il vociare del mercato e dei pescatori appena rientrati al porto.

Ma la cucina di Peppe è anche un’apertura verso Paesi lontani, dei quali rivivono gli anni trascorsi tra i fornelli di Korea, Francia, Germania, Austria, Croazia ecc.. Il menu diventa, così, la diretta rappresentazione della sua storia, la trama e l’ordito di un viaggio in cui le spezie d’Oriente, gli aromi inebrianti della Sicilia e le materie prime di una natia Trinacria e di “adottivi” territori si confondono armonicamente nei “suoi” piatti, vere e proprie istantanee delle “tappe” del suo lungo cammino.

Un viaggio iniziato nel lontano 1987, segnato dal sostegno fondamentale della famiglia, da una breve ma intesa collaborazione con il cuoco Don Nené Giunta, da un’ascesa professionale grazie alla collaborazione con l’Accademia della Cucina Italiana, il circuito Arcigola-Slowfood e la scuola del Gambero Rosso. E, al termine, il “sussulto”, quel ritorno all’essenza e la consapevolezza che la fusione tra la materia prima del territorio di origine e quelle di ogni altra parte del mondo possa rappresentare il futuro della cucina e nobilitare il lavoro del cuoco quale mediatore della terra verso il consumatore.

Ed è proprio questo pensiero profondo e il fare a tratti meditativo con cui Peppe esprime il suo “credo” a suscitare curiosità e, inevitabilmente, qualche domanda.

Come nasce un piatto?

Alcuni piatti sono intramontabili e sono divenuti protagonisti del mio menu della tradizione; altri nascono dal mio passato e dalla Sicilia.

Cosa vuole comunicare con un piatto?

La mia filosofia, già a partire dalla presentazione e scelta degli ingredienti; è una sintesi del mio pensiero. Il piatto è anche un’armonia e rispetto del cliente; ad esempio, il modicano è una persona “pacata” e quindi tendo a rispettare appieno la materia prima per non disattendere le sue attese.

Cosa è per lei il ristorante?

In questo, non posso non trovarmi d’accordo con la visione, moderna e forse ideologica, di Bottura che definisce il ristorante un museo, un luogo di conoscenza del cibo.

Quanto c’è di evocativo nei suoi piatti?

Nel costruire un piatto, mi sento come un bambino alla ricerca dei sapori dell’infanzia, quei sapori che ti segnano e ti accompagneranno necessariamente per tutta la vita, quei sapori rassicuranti che sanno “di casa”. Ad esempio, il cioccolato per me equivale ad una sensazione generale di benessere, mi ricorda mia nonna, che per prima me lo fece assaporare; pertanto, ricorro al “nero modicano” ogni volta che intendo trasferire al cliente una sensazione di piacere.

Come risponde la clientela a questo stile “diverso” della sua cucina?

Ho ricevuto tante soddisfazioni da parte di clienti che mi hanno esortato a rimanere nel cuore di Modica.

Ha un piatto che ha piacere di presentare?

Il mio nuovo tortello con il coniglio. Si tratta di un coniglio in agrodolce, a ricordo di quella pietanza che si usava preparare per celebrare l’apertura della stagione della caccia e mangiato poi a temperatura ambiente nel mese di agosto. Utilizzo il coniglio per il ripieno e una fantasia di verdure come condimento. Un piatto, invece, che amo particolarmente è la guancia fondente, una delle prime ricette che realizzai (circa 20 anni fa) e, ogni volta che lo preparo, mi tornano in mente i vari stati di animo che accompagnarono i momenti della mia vita da cuoco.

Esiste un piatto che mangerebbe sempre?

La pasta con i ricci e la triglia fritta, in quanto ritrovo in questi il sapore inconfondibile del mare.

L’esperienza presso la Fattoria Delle Torri non è una mera successione armonica di sapori e colori, ma un continuo relazionarsi, in sintonia e sincronia, con l’indole di un custode di saperi e comunicatore della valenza culturale della nostra gastronomia.

Manuela Mancino