Pasquale Forte, il proprietario di Podere Forte, azienda agricola di Castiglione d’Orcia: “Rispetto della terra e sensibilità, non sono un padrone, ma un conduttore. Ciò che fai non deve danneggiare l’ambiente. Io non mi sento padrone della mia terra, ma conduttore e spero che, dopo di me, prenda il posto qualcuno con la medesima sensibilità”.
Dal sud al nord, per trovare radici in Toscana, a Castiglione d’Orcia in provincia di Siena, luogo ricco di storia, di tradizione e di “gesta”, con episodi intensi di guerra e di umanità.
E sono proprio l’umanità, il valore delle persone e il profondo legame con la terra, con i suoi profumi, i suoi attimi fatti di luce o di vento, a muovere le passioni di Pasquale Forte.
Dopo l’infanzia in Calabria, Pasquale Forte bambino si trasferisce con la famiglia nel nord Italia dove, successivamente agli studi fino all’università, trova nel comasco “una grande terra dove ho incontrato persone straordinarie”. Il proprio grande successo di imprenditore, fondando la Eldor Corporation, azienda multinazionale attiva nel settore automotive.
Forte decide poi di ritrovare in Toscana quell’intimità con la natura e l’attività agricola, da sempre di famiglia, per vivere e valorizzare le sue origini contadine.

L’intervista
Qual è la matrice della nascita di Podere Forte ?
«La mia origine contadina risale a mio padre, mio nonno e mio bisnonno e so bene cosa significhi, anche se in tempi e luoghi diversi, il background è quello, la storia di una famiglia che da generazioni è legata con la terra. Conosco quanto sia duro e quanta fatica si faccia e mi ci metto in prima persona. Alla base di tutto c’è la conoscenza del territorio e delle sue caratteristiche, solo così puoi capire e scegliere dove piantare qualcosa e cosa aspettarti. Ho approfondito ogni aspetto della nostra produzione vinicola e delle altre produzioni agricole e di allevamento, per arrivare al bello di sentire il profumo del pane fatto con i cereali che si coltivano».
Una sorta di rispetto profondo per il mondo agricolo delle sue origini e la possibilità di valorizzarlo ?
«In qualche misura è una verifica della vita, una modalità per restare, in un mondo che vola verso le più moderna digitalizzazione, ancorati alla terra. È necessario comprendere e gestire l’evoluzione tecnologica che ha grande impatto sullo sviluppo e sulla vita sociale. Mi piace avere la mia visione di futuro basata sulle conoscenze di ciò che potrà avvenire. Allo stesso tempo la bellezza di sentirmi parte della terra come accade quando, la mattina presto, cammino nei terreni di Podere Forte. L’obiettivo è quello di fare esercizio e stare in forma, ma è ascoltando i rumori, gli odori e gli umori della natura, che mi sento realmente connesso».

Durante un meeting di lavoro internazionale, le capita di tornare con la mente a quelle camminate ?
«Accade e mi aiuta nel compiere le scelte e nel capire le persone e la sensibilità di chi ho di fronte e trovare cooperazione e collaborazione. Credo nel detto “non ci si piglia, se non ci si somiglia”».
Come si è imbattuto in Podere Forte ?
«Poco prima che compissi cinquant’anni volevo ritrovare quei profumi della terra, quelle radici dalle quali, da ragazzino, ero stato, in qualche modo, strappato, per seguire l’avventura di famiglia al nord. Sentivo un vuoto, mi metto alla ricerca e trovo questo podere, quasi abbandonato a Castiglione d’Orcia con la sua Rocca a Tentennano, scenario di importanti fatti storici. Una torre baluardo dove, il 27 aprile del 1207, dopo la caduta dell’impero romano, venne scritta la “Charta Libertatis”. Autore fu Guido Medico, signore del luogo e visionario del tempo, che si ispirò alle basi del Diritto per dare i fondamenti del vivere civile tra le parti, portando la libertà invece della schiavitù. Forse una coincidenza storica, perfettamente in linea con il mio approccio umanistico alla vita».
Se torna bambino, qual è il profumo della sua infanzia ?
«Quello dell’olio, del frantoio di famiglia, un ricordo straordinario, insieme a quello delle erbe aromatiche lungo la strada bianca, sterrata di qualche chilometro, che percorrevo con mia mamma quando, dal paese, mi portava al mare».
Come produttore vinicolo, qual è la sensibilità più grande da possedere e lo sforzo maggiore da compiere ?
«La sensibilità di non guastare nulla, di non sentirti padrone, ma conduttore di un luogo per mantenerlo e migliorarlo in funzione e in virtù del fatto che, chi verrà dopo di te, vorrebbe trovare qualcosa di meglio di quanto hai trovato tu. Quando si ha a che fare con la natura e l’ambiente, è necessaria grande sensibilità.

Il grande sforzo che ho compiuto, essendo il podere composto da terreni collinari dai 400 ai 600 metri, un dislivello non indifferente, è stato la “regimazione delle acque”, un vero capolavoro di idraulica. Oggi anche con precipitazioni molto forti, i fossi si riempiono e convogliano le acque in tre diversi laghi artificiali che abbiamo scavato, e poi nel fiume. Senza straripamenti, frane o dilavamenti. Spesso passeggio quando piove e trovo fossi pieni con il gorgoglìo dell’acqua e strade senza allagamenti.
Se tratti bene la terra, questa restituirà in maniera anche fin troppo generosa. Al contrario si arrabbia e avvengono disastri. Curiamo anche i boschi, pulendoli e permettendo loro di avere luce. Uno straordinario lavoro, durato vent’anni, alla scoperta e conoscenza del territorio. Alla maniera dei monaci benedettini che hanno fatto grande la Borgogna con i famosi “climat”».

Con chi ha compiuto tutto ciò ?
«Ho avuto la fortuna di incontrare quasi subito sul mio cammino Lydia e e Claude Bourguignon, due microbiologi dei suoli, veri scienziati dell’agronomia con i quali ho compiuto e continuo a compiere ogni passaggio per individuare le diverse parcelle che danno i nomi alle vigne come Petrucci vigna Anfiteatro e Petrucci vigna Melo.
Del nome Petrucci un piccolo aneddoto. Dopo la battaglia di Montaperti, tra senesi e fiorentini, dove i primi riportarono una grande vittoria, la Rocca venne donata alla potente famiglia Salimbeni che la abita per due secoli. Ma a volte il potere chiama ulteriore bramosia di potere, così la famiglia Salimbeni, tentò di rovesciare la stessa repubblica. Non riuscirono nell’impresa e vennero mandati in esilio.
Fu allora, alla morte di Cocco Salimbeni, ultimo dei discendenti, che Antonio Petrucci sposò la vedova, la bellissima donna Marietta e acquistò Podere Petrucci, oggi Podere Forte. Per queste radici storiche ho chiamato i vini Petrucci».
Una storia d’amore anche questa …
«L’amore ispira tutto, l’amore per la bellezza, per ciò che è bello e buono, una vena che cresce in un luogo bello, non può che gioirne, essendo un essere vivente».

I suoi figli seguono le stesse orme ?
«I tre miei figli grandi Luca, Bruno e Davide si occupano della Eldor Corporation, i miei tre figli piccoli Asya, Ada e Tibet, mi auguro cominceranno a percorrere i sentieri di Podere Forte portandone avanti la storia».
Andrea Radic