Strana storia o leggenda quella del Ciliegiolo. Dapprima considerato figlio per alcuni, genitore per altri del Sangiovese, dell’Aglianico ed addirittura del Montepulciano d’Abruzzo.

Una cosa è certa: le sue origini sono spagnole e i primi grappoli in Toscana, provincia di Lucca, furono osservati intorno alla seconda metà del 1800.

La sua diffusione dovuta ai pellegrini della via Francigena ha segnato territori come la provincia della Spezia, la già ricordata provincia di Lucca (dove veniva indicato con il nome di Ciliegiolo di Spagna), l’intera Maremma per poi trovare aerali importanti nel ternano (Narni in particolare), fino ad arrivare nel Tavoliere delle Puglie.

Vigna di ciliegiolo

Grappolo grosso e lungo dotato di una o due ali ha una buccia molto pruinosa di medio spessore e di colore blu intenso-violaceo.

“Dà origine a un vino dal colore intenso, morbido, con una acidità limitata. I profumi si rifanno alle ciliegie (da cui il nome)” (cit.Vitigni d’Italia, Slow Food Editore).

“Di solito è un vino da consumo immediato, spesso utilizzato come vino da taglio”. Citazione trovata e ripetuta dai soliti “soloni” ben informatii.

Tuttavia esistono versioni in purezza di notevole spessore qualitativo.

È quanto ho potuto appurare e assaggiare nella due giorni trascorsi a Narni (Terni) durante la manifestazione dedicata a questo vitigno: Ciliegiolo d’Italia, giunta alla sua quinta  edizione.

Vini provenienti da quattro regioni (2 dalla Liguria, 24 dalla Toscana, 2 dal Lazio e 19 dall’Umbria per un totale di 46 campioni) a confrontarsi tra loro con ben 5 vendemmie diverse. La 2018, la più giovane, la 2014 la meno giovane.

Se la coltivazione più estesa la troviamo in Toscana, un’attenzione particolare è data dai viticoltori della zona di Narni tanto da arrivare ad ottenere la Doc Ciliegiolo di Narni.

Qualcuno lo ha definito “camaleontico” per la diversità di espressione a seconda delle zone di produzione nello stesso territorio comunale. Non sono d’accordo perché camaleontico significa cambiare totalmente espressione di base. Direi molto in sinergia con terreni e microclimi diversi tra loro. E il Ciliegiolo mantiene fede alle sue caratteristiche portanti.

Durante gli assaggi è scaturito che la propria qualità espressiva sembrerebbe esaurirsi al quarto anno di affinamento in bottiglia. I successivi assaggi effettuati nelle varie aziende che ci hanno ospitato nella due giorni “narnense”, hanno portato a dilatare i tempi.

Dietro le quinte, preparazione dei 46 campioni

Vuoi per permanenze in legno, spesso piccolo (barriques), vuoi per attenzioni maggiori in vigna e nelle prime fasi delle fermentazioni. Ciliegioli di maggiore struttura e complessità  per una maggiore longevità. E certi assaggi aziendali l’hanno dimostrato.

Questi i miei “dieci ciliegioli” usciti dai 46 presentati (non in ordine di preferenza ma di annata).

– Leonardo Bussoletti 2018 Narni Umbria

– Sandonna 2018 Giove Umbria

– Tenuta Fabbrucciano 2018 Narni Umbria

– Vallantica 2018 SanGemini Umbria

Uno dei 46

– Collecapretta 2018 Spoleto Umbria

– Tenuta Cavalier Mazzocchi 2018 Narni Umbria

– Fattoria Mantellassi 2018 Magliano in Toscana

– Montauto 2017 Manciano Toscana

– Sassotondo 2017 Sovana Toscana

– La Palazzola 2016 Stroncone Umbria

A seguire i quattro vecchi che hanno nobilitato la rassegna:

– Valdonica 2015 Roccastrada Toscana

– La Selva 2015 Magliano in Toscana

– Podere del Visciolo Piancornello 2015 Montalcino Toscana

– Tenuta Cavalier Mazzocchi 2015 Narni Umbria

La richiesta del mercato per un vino dall’immediatezza e facile beva sembrerebbe cambiare verso dagli assaggi giovani ma dal lungo avvenire.

La quinta edizione di “Ciliegiolo d’Italia” ha (per alcuni timidamente) mostrato questo nuovo corso che, a mio giudizio, porterà questo vitigno ad essere sempre più apprezzato come “produttore” di vini eccellenti. Chapeau!

Urano Cupisti