Diario di viaggio in Languedoc, Roussillon, Loire, 16/04/2018, giorno 2: Carcassonne, un giorno intero al table de decouverte.
16 aprile, primo giorno completo in terra di Francia, e primo di assaggi sistematici, che sarà anche l’unico ad essi riservato sia al mattino sia al pomeriggio. Le sessioni si svolgono in un’ariosa dependance dell’Hotel de la Cité, probabilmente un antico garage, visto che le pareti sono decorate con manifesti pubblicitari di marchi di automobili (Jaguar, Bugatti, Citroen…). Non è difficile immaginare le torpedo dei viaggiatori degli anni ’20 attendere di trasportare gentiluomini in marsina e dame in crinoline verso un bucolico dejeneur su l’herbe.
Lunghi tavoli ospitano una impressionante teoria di bottiglie divise per denominazioni. Capisco presto che il modo più intelligente di prendere le mie note è conquistarsi una postazione di lavoro su uno dei (pochi) tavoli a disposizione, muniti di sgabelli dove un piccoletto come il sottoscritto deve arrampicarsi. Meglio quindi rimanere in piedi per poter servirsi di volta in volta delle bottiglie prescelte, liberamente a disposizione. C’è una lista delle etichette disponibili, ma praticamente degusto alla cieca, in quanto i nomi delle aziende e delle cuvée per me niente significano.
La mia idea è procedere assaggiando separatamente ogni singola denominazione, tentando di individuarne, per quanto possibile, caratteristiche e specificità. Per quanto logisticamente praticabile tento di provare almeno una cuvée per produttore, spaziando tra le diverse annate disponibili. Se mi è piaciuta, e vi è più di un’etichetta della medesima azienda, allora sperimento anche la successiva.
Decido inoltre di limitarmi pressoché solo ai vini rossi, anche se è evidente lo sforzo (incluse master classes di approfondimento, che diserto) di promuovere i rosati, adesso sulla cresta dell’onda sul mercato francese e internazionale. Mi renderò altresì conto, dai pochi assaggi effettuati, che sarebbe valsa la pena di approfondire la conoscenza dei bianchi, spesso dotati di nerbo e affascinante sapidità.
La degustazione
Inizio con il cru Minervois-La-Livinière (http://www.cru-la-liviniere.com/), praticamente una sotto zona del Grand Vin Minervois, con uvaggio basato principalmente sul Syrah, con rare eccezioni. Auspico che i miei 22 assaggi costituiscano un campione sufficientemente significativo visto che i produttori della AOC sono una quarantina, inclusa una cooperativa.
Fa invidia il modo in cui le aziende della denominazione facciano “sistema”: i campioni in affinamento vengono degustati collegialmente più volte durante il tempo trascorso in cantina, e ogni anno una giuria composta dai produttori stessi, e da giornalisti e sommeliers appositamente convocati, elegge i vini meglio riusciti, che vengono insigniti di apposito trofeo ed adoperati per rappresentare il complesso dell’appellation negli eventi promozionali.

Questa coesione ha portato alla distinzione dal “generico” Minervois, anche se il terroir non è troppo dissimile: terrazzamenti situati su un massiccio calcareo che si spinge fino a 400 mt slm ca., con presenza di marne argillose (che dovrebbero assicurare maturità e pienezza) in maggior misura alle quote più basse, e buona presenza di scheletro (utile per il drenaggio), il tutto con esposizioni variabili ma buona ventilazione grazie alle brezze che spirano nelle profonde e strette vallate scavate dall’erosione nel calcare. In generale i campioni mi sembra mostrino buona acidità e capacità di evolvere; i tannini sono importanti ma maturi, talvolta “sgranati” da un legno leggermente eccessivo. Le annate calde (es. 2015) semplificano lo spettro aromatico su un frutto piacevole e diretto.
Assaggio 18 referenze sulle 35 disponibili dell’appellation Fitou (www.fitouaoc.com). Sulla non enorme estensione di 2.660 ha ca. (poco più del doppio della DOC Bolgheri) le vigne si estendono dal livello del mare (le brezze umide riducono il rischio di siccità legato ai suoli qua sabbiosi) fino a 450 mt. di quota, con relativi gradiente termico giorno-notte e matrice maggiormente calcarea).
Qui il vitigno principe è il Carignan, tanto amato per le rese elevate quanto temuto per il carattere aggressivo dei suoi tannini. Anche se il vino più anziano (2014) non manca di presa tannica ed equilibrio, mi appaga la più immediata piacevolezza di cuvée più giovani nelle quali si è fatto uso della macerazione carbonica. Di nuovo, mi sembra che l’annata 2015 risenta di una certo difetto di acidità, nonché di una semplificazione dello spettro aromatico verso note surmature, salvo rare eccezioni. Prezzi concorrenziali, salvo alcune etichette da vecchie vigne, molto ambiziose e peraltro, a mio avviso, non particolarmente riuscite per eccesso di estrazione (ma magari hanno solo bisogno di tempo).
Dalla più grande appellation Corbières nel 2005 si è svincolata, attingendo allo status di Cru, la piccola sottozona Corbières-Boutenac (http://www.cruboutenac.com). Degusto 12 vini sui 14 disponibili, di nuovo con una base di Carignan, e a complemento Grenache per la morbidezza, Syrah per speziatura e profondità gustativa, Mourvedre per rinforzare la struttura tannica a propiziare una lunga evoluzione.

I vigneti sono situati a una quota piuttosto uniforme di ca. 200 mt. slm, su dolci mammelloni punteggiati di ciottoli arrotondati (galét): con la protezione dall’influsso del mare e dei venti del Nord da parte delle colline di Montfroide, la piovosità è bassa e la stagione di maturazione soleggiata e prolungata, condizione ideale per il Carignan e il Mourvedre, che abbisognano di caldo e ciclo vegetativo regolare.
Devo dire che i vini mi piacciono molto: la maturazione fenolica è assicurata al punto che molti produttori non diraspano anche le varietà più tanniche all’arrivo in cantina, pur talvolta senza tralasciare la macerazione carbonica. I campioni dell’annata 2016 sono pochi e un poco contratti, mentre qui i 2015 sono più espressivi e complessi. Prezzi al pubblico sui 15/20 € a bottiglia, ampiamente giustificati dalla qualità diffusa.
Mi limito a 41 etichette delle ben 78 a disposizione della più generica (e quanto mai estesa: ca. 13.000 ha!) appellation Corbières (http://www.20decorbieres.com/fr). La vite è praticamente l’unica coltura possibile sull’arido massiccio che separa il bacino del fiume Aude dalle pianure costiere del Roussillon. I suoli, come è ovvio in una denominazione così grande, sono variamente composti a seconda dell’altitudine, con un comune denominatore in termini di un mix tra argilla e sabbia, con episodiche interpolazioni di calcari, scisto – alle quote maggiori – che assicura un buon drenaggio, ecc.
Chiaramente domina il clima mediterraneo, ma sul versante Ovest del massiccio anche l’influenza oceanica si fa sentire, senza che per questo siano consentiti i vitigni bordolesi: negli uvaggi anche il Syrah e il Grenache possono essere maggioritari, non solo il Carignan, ovvero, come di consueto in Francia, massima libertà è lasciata alle scelte dei produttori. Bene più di un 2014 fragrante e aggraziato, in beva poiché l’acidità è già integrata nel corpo del vino. Piacevolmente e sorprendentemente distesi e complessi i 2015, garbati nell’estrazione tannica, di buona profondità. Un solo 2016 assaggiato, di media presenza fruttata e un poco sottile. Prezzi convenienti intorno poco più su dei 10 € (ovviamente in Francia).
Termino (per modo di dire, mancano ancora il buffet e i banchi di produttori a cena…) una giornata che mi ha visto impegnato in più di 100 assaggi con 16 referenze del Minervois AOC (http://www.leminervois.com/en/).
La denominazione è grande (ca. 5.000 ha, ben 95 le etichette disponibili!) e variegata, diversa l’altitudine dei vigneti, la composizione dei suoli, da arenarie che pongono la vite in condizione di stress idrico per il notevole drenaggio, a parcelle più ciottolose, su matrice calcarea, il cui colore bianco viene rivendicato riflettere la luce solare e così incentivare la fotosintesi. I più vari sono gli uvaggi (vi sono anche vini a base Cinsault e Picpoul Noir).
Ogni generalizzazione è per forza di cose approssimata, sia intrinsecamente sia per lo scarso numero dei calici da me provati: annate più evolute (2012, 2013) mi piacciono per scorrevolezza e apertura aromatica, mentre i 2015 che provo oscillano da acidità con finezza tannica, ancora con una certa scusabile reticenza olfattiva, a una percettibile staticità che non contribuisce a nascondere estrazioni forse eccessive. Le cuvée più costose spesso mi deludono per apparente eccesso di ambizione, ma vi è più di un’opzione quanto mai conveniente (attorno ai 10 € a scaffale Oltralpe).
Alcuni vini da ricordare
Le Clos du Marbier (www.leclosdumarbrier.com/), Minervois Rouge AOC A pleine man 2015: l’insolita presenza del Cinsault nell’uvaggio probabilmente spiega il carattere vinoso dello spettro olfattivo, comunque fragrante di mora e pepe bianco; a fronte, un palato saporito e di buona presa tannica: un minimo di rigidità fa indovinare una piena apertura aromatica di là da venire, ma non manca di garbo e facilità di beva.
Château Gléon (http://www.gleon-montanie.com/va/gleon.htm), Corbières Rouge AOC Ad Clivum 2015: prevalenza di Syrah nell’uvaggio; piacevole il naso per una fragranza di viola di discreta intensità; e anche meglio la bocca, corrispondente aromaticamente, di buon volume e grip tannico, slanciata dall’acidità e adeguatamente allungata da una discreta sapidità, piacevole assai anche se relativamente semplice. 11,80 € ben spesi.
Champ des Soeurs (http://www.champdessoeurs.fr/), Fitou AOC Bel Amant 2015: in una denominazione che mi ha forse fornito meno emozioni delle altre, spicca l’accattivante dolcezza di questo taglio degli scorbutici Mourvedre e Carignan ingentiliti dal Grenache: ad un colore impenetrabile fa riscontro un olfatto leggermente ridotto, che non fa presagire un palato invece grintoso, sapido, dal tannino intelligentemente estratto; se è vero che l’acidità non enorme, la beva è già compiuta, il frutto disteso si apprezza nel garbo generale di questa cuvée.
Domaine La Rouviole (http://www.larouviole.fr/), Minervois-la-Livinière Rouge AOC 2014: uno dei miei migliori assaggi della giornata. Tre quarti di Syrah e saldo di Grenache. Naso contratto, probabilmente per difetto di ossigenazione, ma bocca equilibrata, sapida, lunga sul frutto e su una speziatura varietale ma non banale. Forse da non aspettare, ma l’acidità che conserva è perfettamente integrata e snellisce una beva di soddisfazione.
Château Aiguilloux (http://www.chateau-aiguilloux.com/), Corbières-Boutenac AOC Anne-Georges 2014: Carignan e Syrah in assemblaggio paritario. Naso già aperto su pepe, cola, mora, forse un minimo di presenza del legno ma assolutamente in modonon coprente il frutto; il palato è fresco, aromaticamente apre su una vinosità fragrante che si allunga sulla speziatura e su quelle note di garrigue (macchia mediterranea, mirto, lentisco) che qui spesso si ritrovano; il tannino ha grinta, è futuribile, ma non è un problema già adesso poiché non strappa il finale.
Château du Donjon (https://www.chateau-du-donjon.fr/), Minervois Rouge AOC La Pujade 2015: dopo più di un vino coevo relativamente semplificato nel frutto, ecco una fragranza floreale (rosa) e peposa, intensa, rinfrescante negli ulteriori toni di ciliegia leggermente asprigna; palato rifinito, dal tannino garbato, leggermente sbilanciato sull’alcool ma di beva spensierata e buon allungo, con ritorno finale dell’onnipresente garrigue.
Riccardo Margheri