I vitigni autoctoni sono una risorsa unica per la viticoltura trentina, poiché esprimono le caratteristiche del territorio, contribuendo a delinearne l’identità. Lo sa bene Cavit, storico protagonista del comparto vitivinicolo italiano, che con oltre 5.250 viticoltori riuniti in 11 cantine sociali, rinnova ogni giorno il proprio impegno nella valorizzazione e salvaguardia delle diverse aree di produzione di questo straordinario tesoro naturale.
La dedizione a una coltivazione responsabile di queste varietà e il profondo rispetto per l’eredità enologica locale sono tra i principi fondamentali della filosofia che guida da sempre il consorzio.
“In ogni vitigno autoctono si cela la storia del territorio, insieme alle caratteristiche dei suoli e del clima che lo contraddistinguono,” afferma Andrea Faustini – responsabile dell’area agronomica ed enologica di Cavit. “Per noi, lavorare con questi vitigni significa coltivare un’eredità preziosa. Il nostro obiettivo è non solo tutelare le particolarità di ogni varietà, coltivandola nelle zone dove può esprimere al meglio tutto il suo potenziale, ma anche tramandare le tecniche di coltivazione sviluppate nei secoli, affinché le nuove generazioni possano continuare ad apprezzare questa tradizione radicata e vitale”.
Dal Teroldego al Marzemino, dalla Schiava alla Nosiola, i vitigni autoctoni trovano spazio nelle diverse linee di vino di Cavit, con etichette pensate per i canali Ho.re.ca e la distribuzione organizzata.
Questa strategia di diversificazione riflette l’approccio distintivo del Gruppo: da un lato, risponde al crescente interesse di consumatori attenti alla qualità e desiderosi di scoprire le eccellenze del territorio; dall’altro, si rivolge a una clientela giovane e dinamica con proposte mirate e accessibili, ideate anche a partire da varietà tradizionali come la Schiava.
Da qui nasce ‘Cum Vineis Sclavis’, un vino leggero e versatile, grazie al basso contenuto alcolico e caratterizzato da freschezza e note fruttate. Questa nuova etichetta non solo arricchisce l’ampia gamma di proposte Cavit, ma intercetta anche l’interesse verso vini rossi leggeri e meno complessi, coniugando tradizione e innovazione per il consumatore moderno. Con ‘Cum Vineis Sclavis’, la cantina è tornata alla tradizionale vinificazione in rosso, rievocando l’antico metodo di produzione che esalta le caratteristiche della Schiava e celebra la storia del territorio.
Vitigni autoctoni: la Schiava
Viene coltivata in Trentino sin dal 1500. Il suo nome deriva dall’espressione latina “cum vineis sclavis,” che significa letteralmente “con viti schiavizzate”. Un termine che si riferisce alla particolare tecnica di coltivazione a filare utilizzata nel Medioevo, considerata all’epoca rivoluzionaria: le viti venivano legate a un supporto fisso, permettendo al viticoltore di controllarne la crescita, in contrasto con le viti selvatiche che si sviluppavano liberamente.
Vitigni autoctoni: il Teroldego
È il “vino principe” del Trentino e occupa un posto di rilievo nel panorama enologico del territorio grazie alla lunga storia che lo accompagna. Le sue origini sono avvolte nel mistero: c’è chi dice che il nome derivi da quello della varietà Tirodola della Valpolicella; altri fanno risalire il suo nome dal tedesco Tiroler Gold, cioè Oro del Tirolo. Ciò che è certo è che questo vitigno ha fatto la sua prima apparizione nella letteratura del XVIII secolo.
Il Teroldego si produce nella Piana Rotaliana, una zona tra Trento e Bolzano, terreni che si distinguono per la loro ricchezza di minerali, dovuta alla sedimentazione dei detriti portati dai fiumi Noce e Avisio. È qui che il Teroldego ha ottenuto, nel 1971, la sua prima Denominazione di Origine Controllata (DOC), diventando il primo vino del Trentino a ricevere questo riconoscimento.
Cavit ha reso omaggio a questo vitigno dando vita a tre etichette molto amate, espressione della qualità e della versatilità del Teroldego: il Teroldego Rotaliano DOC, Maso Cervara Teroldego Rotaliano Superiore DOC Riserva e il Teroldego Rotaliano.
Vitigni autoctoni: il Marzemino
Simbolo della Vallagarina, il Marzemino è stato definito “eccellente” da Lorenzo Da Ponte, il celebre librettista del Don Giovanni musicato da Mozart. Questo vitigno è stato protagonista di un progetto di valorizzazione del territorio fortemente voluto da Cavit. Situato nella zona classica dei Ziresi, una delle aree più vocate per la coltivazione di questa varietà, Maso Romani è una realtà storica di circa sei ettari coltivati a Marzemino a filare.
Circondato da antiche mura, il Maso accoglie un vigneto unico nel suo genere, un vero e proprio gioiello di biodiversità e sperimentazione. Di proprietà della Fondazione Romani, questo vigneto è gestito direttamente da Cavit, che da oltre vent’anni vi produce il suo storico Cru: Maso Romani Marzemino Trentino Superiore DOC.
Vitigni autoctoni: la Nosiola
L’unico vitigno autoctono a bacca bianca coltivato in Trentino è la Nosiola che rappresenta una vera eccellenza del territorio. Le sue principali aree di coltivazione si trovano nella Valle dei Laghi e nella zona di Pressano, a nord di Trento. N
onostante la sua produzione sia limitata a pochissimi ettari, la Nosiola è un vitigno versatile che non si limita solo alla vinificazione come vino fermo. Nel corso della sua storia, Cavit ha dedicato particolare attenzione a questa varietà, tanto che ben tre linee di prodotto celebrano la purezza e l’eleganza della Nosiola: Nosiola Trentino DOC Mastri Vernacoli per la GDO e per l’Ho.re.ca Conzal Nosiola Trentino DOC e Trentino Doc Nosiola Bottega Vinai.
Fonte Uffico stampa Cavit