Cesare Pillon
Cesare Pillon (foto Civiltà del Bere)

Ci sono voci che non si spengono: restano nei toni, nelle pause, nelle parole che hanno saputo raccontare un mondo.

La voce di Cesare Pillon era una di queste — colta, ironica, precisa fino allo scrupolo, ma mai compiaciuta. È stato, per più di mezzo secolo, una delle penne più limpide e autorevoli del giornalismo enogastronomico italiano.

Ricordo un ultimo incontro qualche anno fa. Ci siamo visti ad una presentazione di un’azienda. Una presenza carismatica, un faro. Diciamolo per la mia generazione lui era un Mito ed un omaggio doveroso da tutto il mondo del vino è il riconoscere quanto lui ha dato al nostro settore.

Dalla redazione di Civiltà del Bere — di cui fu firma storica — fino alle pagine dei suoi libri, Pillon ha costruito una narrazione del vino capace di unire il linguaggio tecnico al gusto per l’intelligenza. La sua scrittura era una degustazione lenta: asciutta, equilibrata, con quella vena di ironia che gli permetteva di smontare i miti senza mai demolire la passione.

In un ambiente spesso affollato di entusiasmi effimeri, Pillon ha sempre rappresentato il contrario della moda: la coerenza del pensiero, la curiosità del metodo, la fedeltà alla verità delle cose. Prima di essere un cronista del vino, era un osservatore del mondo. Il bicchiere, per lui, era una lente sul lavoro umano, sulla cultura dei territori, sulla complessità dell’Italia produttiva.

Dietro i suoi testi non c’era solo conoscenza, ma un’idea etica della comunicazione: raccontare senza vendere, spiegare senza semplificare, educare senza annoiare.

Chi lo ha conosciuto sa che era capace di un’ironia affilata ma mai cattiva, di una modestia che nascondeva una vastissima erudizione, e di una curiosità che non si è mai spenta — neppure di fronte all’età o ai mutamenti del settore.

Con lui scompare un maestro, ma resta un modo di guardare al vino con intelligenza e rispetto.

Un modo che oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ritrovare: quello che ci insegna che il vino non si racconta per stupire, ma per capire.

Grazie, Cesare, per averci insegnato che il linguaggio del vino — come quello della vita — merita sempre una buona conversazione.

Riccardo Gabriele